Carceri, le falle della riforma e le modifiche possibili

Il carcere in Italia soffre. A penare ci sono i 59.275 detenuti rinchiusi in 190 galere che ne potrebbero contenere solo 50.622. Ma ci sono anche gli operatori penitenziari: agenti, educatori, personale sanitario che portano avanti, in numero ridotto rispetto al necessario, un lavoro difficile e stressante.

Nella Casa circondariale "Giuseppe Salvia Poggioreale", solo per fare un esempio, i carcerati sono 600 in più di quelli che potrebbero essere ospitati. Mentre ci sono 200 agenti in meno rispetto a quanti sono previsti in organico, tra quelli effettivamente mancanti e i distaccati. La carenza riguarda soprattutto ispettori e sovrintendenti, i cosiddetti quadri intermedi.

Il trend in aumento di suicidi, 50 dall'inizio dell'anno, l'incremento di violenze dei reclusi all'interno dei reparti, l'esistenza di numerose persone con patologie psichiatriche dietro le sbarre e la scarsità di ore dedicate da psicologi e psichiatri, la presenza di circa 60 bambini nelle celle con le madri, per non parlare della difficoltà ad essere curati in carcere, completano il quadro delle principali criticità. Ma si potrebbe ancora continuare.

Gli Stati generali dell'esecuzione penale promossi nella passata legislatura dal precedente ministro della Giustizia Andrea Orlando, volevano essere un tentativo per adeguare un'istituzione immobile come quella penitenziaria alla società, che invece negli ultimi anni aveva subito numerose trasformazioni. Uno sforzo innovativo che doveva incidere in profondità sull'esecuzione penale, rendendo il condannato responsabile e partecipe del suo percorso di recupero.

L'obiettivo era quello di formare un buon cittadino piuttosto che un detenuto modello, che magari non arrecava problemi durante la sua detenzione ma che invece tornava a delinquere una volta uscito di galera. Sappiamo le cose come sono andate. ll Governo Gentiloni, temendo ripercussioni negative alle elezioni politiche, non ha avuto il coraggio di approvare questa importante riforma, cimentandosi in acrobatiche contorsioni procedurali con cui sono state presentati con tempistiche differenti i decreti attuativi, fino a farla naufragare.

E come se un padre avesse disconosciuto il proprio figlio nel momento in cui si affaccia alla maggiore età dopo averlo fatto crescere con tanta cura e grande orgoglio. L'esecutivo gialloverde ha bocciato l'impianto degli Stati generali, definendo alcune misure "svuota-carceri" e "salva-ladri".

Un' impostazione culturale diversa con norme che tendono a migliorare la quotidianità detentiva piuttosto che tenere in considerazione l'accesso a misure alternative. Nel nuovo testo, non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, e quindi passibile di ulteriori aggiustamenti, viene modificata la disciplina della visita medica all'ingresso in carcere con l'annotazione di eventuali maltrattamenti o violenze subite, è prevista la possibilità di fare interventi chirurgici nei reparti clinici con medici di fiducia a spese dei detenuti. Gli stranieri dovranno avere un'alimentazione rispettosa del loro credo religioso e potranno usufruire di mediatori culturali ed interpreti. Altre misure riguardano la semplificazione dei procedimenti per le decisioni della magistratura di sorveglianza, il potenziamento del ricorso al lavoro, e innovazioni sull'esecuzione della pena dei minorenni.

Tuttavia la nuova riforma, che qualcuno ha definito una "Ferrari senza motore", ignora alcune problematiche, come quella dei detenuti con patologie psichiatriche che sono in numero crescente, o dei bambini che vivono in cella con le madri e le misure alternative sono viste come una attenuazione della condanna e non una pena alternativa al carcere, come invece prevede la Costituzione.

Nella precedente impostazione veniva modulato il trattamento sanzionatorio sull'impegno e sulla personalità del carcerato, affidando alla magistratura di sorveglianza la valutazione sulla merito della persona. E veniva eliminata l'unica norma che garantiva un automatismo, quella di poter scontare gli ultimi 18 mesi a casa indipendentemente dal comportamento tenuto. Eppure tutte le statistiche ci dicono che chi termina la sua condanna in un luogo diverso dal carcere più difficilmente ci ritorna.

D'altra parte è evidente che passare dalla galera alla libertà da un giorno all'altro, dopo che sono state interrotte tutte le relazioni sociali, rende più difficile il reinserimento. Piuttosto, chi piano piano riprende contatti con il mondo di fuori, ha la possibilità di creare qualche opportunità occupazionale e sociale in più. Il vecchio mantra "gettiamo via le chiavi" non è risolutivo. Tranne chi sconta l'ergastolo ostativo, tutti prima o poi usciranno dalla galera.

Il carcere duro non serve, ma bisogna trovare quella chiave interiore che fa scegliere di cambiare vita. Le figure professionali penitenziarie, i cappellani e i volontari possono essere decisive. Persino il lavoro può non essere sufficiente per determinare un cambio di mentalità. Per questo la ricetta di costruire più carceri non è credibile.

Anche perché bisognerebbe creare quasi un quinto dei posti tuttora esistenti, con un dispendio di denaro enorme sia per edificare nuovi penitenziari che per dotarli del personale necessario, di cui siamo tutt'oggi sprovvisti. C'è bisogno allora di cambiare lo sguardo sul carcere, senza indulgenze e buonismi, ma scrutando una realtà complessa e difficile.

Un mondo popolato da uomini che vivono un grande disagio, sia che ci stanno per lavoro o perché costretti da una condanna per i reati commessi, senza che sia calpestata la loro dignità. Nella convinzione che una prigione senza speranza è solo una scuola del crimine.

 


[ Antonio Mattone ]