Sant'Egidio parla di profughi e spiega come aiutare

I corridoi umanitari quale prospettiva per costruire pace.

In occasione della Giornata Internazionale della Pace, martedì 21 settembre: la presidente della Comunità di Sant'Egidio Daniela Sironi ha parlato di Afghanistan e dell'opera umanitaria di Sant'Egidio.
Dopo la metà di agosto il mondo ha assistito a un susseguirsi di evacuazioni umanitarie: sono stati portati via coloro che hanno collaborato alle varie missioni dei Paesi occidentali, confluiti nel sistema di accoglienza dello Stato italiano e degli altri Stati europei che sono aperti all'accoglienza. «L'Italia  - spiega Sironi - è stata tra i Paesi europei quella che ha accolto più profughi afghani. Noi di Sant'Egidio abbiamo fatto arrivare in Italia 110 persone. Tra loro ci sono collaboratori dell'Ambasciata italiana, operatori di Ong che ci hanno chiesto aiuto: per la maggior parte si tratta di ricongiungimenti familiari, cioè di persone afghane espatriate dall'Afghanistan molti anni fa che hanno fatto venire la famiglia».
Per creare una rete di accoglienza sono stati indispensabili i corridoi umanitari, cioè forme di solidarietà
tra cittadini che abitano in uno stesso Paese e che collaborano per trovare casa ai profughi, insegnare loro la lingua, avviare alla scuola i bambini, curare i malati. «L'intento - spiega Sironi - è di procurare loro tutto ciò che è necessario per vivere e accompagnare le persone al pieno inserimento nel nostro paese. Gli afghani, al momento, sono anche la prima nazionalità di profughi nel campo di Moda nell'isola di Lesbo, ad Atene e al confine con Croazia e Slovenia. Un accordo con il Governo italiano all'inizio di agosto ci ha permesso di aprire un corridoio umanitario per mille persone provenienti da Lesbo, dal confine croato- sloveno e dalla Libia».
Questa seconda modalità di ingresso continua in parallelo al problema umanitario apertosi nell'ultimo periodo. Come spiega la presidente Sironi, «i profughi che si trovano nei campi sono già espatriati da molto tempo - alcuni da anni - e sono in attesa di entrare nel nostro Paese o in altri Paesi europei, dove hanno dei parenti. Abbiamo chiesto di accelerare le loro pratiche di esame per la situazione che si è andata a creare, perché chi è espatriato non può più essere rispedito indietro nel suo paese». Gli afghani al confine con Croazia e Slovenia vengono respinti decine di volte dalla Polizia di frontiera. «Nei campi a Lesbo ci sono domande in attesa da anni. Noi abbiamo chiesto che questo processo venga sbloccato e che tutti gli afghani vengano trattati allo stesso modo».
Sono stati tanti i cittadini che hanno offerto un aiuto: «Abbiamo ricevuto tantissima solidarietà dalla gente, tantissima ospitalità. Abbiamo anche raccolto una grande quantità di giocattoli, vestiti e scarpe. Noi raccogliamo tutto, ma per ospitare è indispensabile creare una rete: il problema, infatti, non è soltanto dormire una notte o una settimana, ma dare un futuro a persone che sono rimaste traumatizzate dagli accadimenti recenti e che devono ricominciare da capo una nuova vita. Cerchiamo di mettere in rete tutti gli aiuti che ci vengono dati per costituire nelle cittadine, grandi e piccole, delle reti solidali che sostengano le famiglie».
La presidente di Sant'Egidio racconta che già nei mesi precedenti all'estate la Comunità aveva accolto profughi afghani in diverse realtà, anche piccole, del Piemonte e della Lombardia: «E` cominciato un itinerario di integrazione, apprendimento della lingua, cura della salute. Queste persone stanno iniziando ad ambientarsi nel mondo in cui sono state catapultate. In questo momento io spero che l'Europa abbia un sussulto di dignità e garantisca un arrivo e una permanenza sicuri nei diversi Paesi europei. L'importanza dei singoli cittadini, che si fanno carico dell'accoglienza, è enorme. Quella scelta di vent'anni fa di rispondere alla guerra con la guerra, così vergognosa e triste, ha portato a una situazione insostenibile e creato moltissime vittime. A queste ultime noi dobbiamo un cambiamento: consentire ingressi legali nei Paesi europei e superare le modalità dell'Accordo di Dublino, che pongono in difficoltà i paesi affacciati sul mediterraneo. Per fare ciò è necessario che le istituzioni ci diano ascolto». 


[ Sara Apicella ]