Sant'Egidio: Così Papa Francesco tiene aperta la porta del dialogo

«Le parole del Pontefice all’Angelus sono la punta dell’iceberg del lavoro diplomatico della Santa Sede», spiega il presidente della comunità. «Pregare per la pace e non per la vittoria»

Sessant’anni fa Giovanni XXIII contribuì al superamento della crisi missilistica di Cuba, oggi Francesco tiene viva la fiammella del dialogo nella guerra in Ucraina. «Il metodo è lo stesso, ma ora la differenza è che qui c’è stata un’invasione che nel 1962 fu evitata, quindi papa Bergoglio si trova a cercare vie di dialogo in un conflitto già in corso», osserva alla Stampa.it il presidente della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo.
Il Pontefice, prosegue, ha tracciato i confini della sua azione a favore della pace «con il messaggio inviato a Vladimir Putin nella visita all’ambasciata russa presso il Vaticano e con la telefonata al presidente ucraino Volodymyr Zelensky». Spiragli di dialogo per indicare percorsi d’uscita dalla guerra o almeno per un cessate il fuoco.
Mercoledì poi la giornata di preghiera e digiuno per la pace in Ucraina. «La via religiosa è la preghiera, ma l’importante è che tutti si preghi per la pace e non per la vittoria- precisa Impagliazzo-. Nessuno vince in un conflitto. Le parole soppesate dal Papa all’Angelus e all’udienza generale nascono da grande esperienza e profonda fede. Sono la punta dell’iceberg dell’azione diplomatica svolta dalla Santa Sede per fermare lo spargimento di sangue tra due popoli cristiani».
Intanto in tutta Italia si manifesta per la pace. «Era tanto, troppo tempo che non si faceva, in Italia come in Europa,ed è giusto farlo oggi- sottolinea il presidente della Comunità di Sant’Egidio che ha promosso numerose iniziative in varie città-. Impressionante il numero delle adesioni a queste manifestazioni: ci dice il desiderio di pace che sale dalla società italiana. Nel nostro paese non c'è stata una sola manifestazione contro la guerra di Siria, quasi fosse un confitto fatale; né per altri conflitti recenti. Abbiamo negli occhi le tante immagini dolorose delle conseguenze delle guerre ancora in atto: sono tante, in più di venti paesi, e ci si è troppo abituati a tollerare tanti conflitti, facendo poco per fermarli». Per questo adesso «vogliamo dire insieme il nostro no alla guerra in Ucraina, un no forte e convinto che viene prima di ogni posizione: il nostro è un rifiuto radicale dell'utilizzo, in qualunque forma, dello strumento militare per risolvere contenziosi o contese».
Contro la pazzia della guerra
«Papa Francesco - ricorda Impagliazzo - ha detto con chiarezza che la guerra è sempre una pazzia. La politica e la diplomazia risolvano i problemi ma non si usi la guerra, che invece li moltiplica. Il movimento per la pace non si faceva sentire da molto tempo: negli anni si è persa l'inquietudine a difendere la pace laddove è minacciata, illudendosi che la cosa non ci riguardi. E poi abbiamo visto le centinaia di migliaia di profughi cercare un futuro nella nostra pacifica Europa. Se la casa del vicino brucia prima o poi brucerà anche la nostra». Perciò «siamo giustamente molto preoccupati per ciò che accade nel cuore dell'Europa, in Ucraina. Una guerra, il bagno di sangue di un conflitto che minaccia di allargarsi, trascinandoci tutti in un'avventura senza ritorno».
Lezione
«Le lezioni di un secolo di guerre contemporanee, quelle mondiali e quelle locali, penso ai Balcani, ci insegna tanto: si iniziano con leggerezza, si pensa dureranno poco e invece si rivelano lunghissime, e porvi fine sembra impossibile- prosegue Impagliazzo-. Esiste un ruolo delle forze vive della società: la pace è un bene comune e difenderla è compito di tutti, è un diritto di ciascuno: partiti di diverso colore, movimenti sociali, sindacati, associazioni, religiosi, terzo settore, mondo delle cooperative, ong, italiani, nuovi italiani, cittadini stranieri che vivono in mezzo a noi: tutti stretti e uniti da un medesimo anelito di pace».