«La storia di Ahmadreza mostra ai novaresi un dramma che, spesso, resta lontano, inascoltato, sconosciuto. Non si hanno quasi mai notizie delle centinaia, delle migliaia, di condannati a morte sparsi per il mondo. Eppure ci sono, esistono. La Comunità di Sant'Egidio, da sempre, lavora per l'abolizione della pena di morte in tutti i Paesi: lo fa ininterrottamente con iniziative, riflessioni e incontri». Con l'obiettivo di tutelare la vita.
A parlare è Daniela Sironi, responsabile regionale della Comunità di Sant'Egidio che, tra le sue battaglie, ha quella per l'abolizione della pena capitale e per una giustizia più umana.
«Sulla pena di morte - prosegue Sironi - non ci possono essere distinguo. Va abolita completamente. Non bisogna distinguere in quali casi vada eliminata e in quali, invece, non lo si debba fare. Non è importante. La vita non è a disposizione di uno Stato. La vita è un diritto di tutti. Ecco perché la pena capitale deve essere cancellata ovunque. Un esempio concreto di ingiustizia - rileva ancora la responsabile di SAnt'Egidio - è anche come si sviluppano le procedure per le condanne alla pena di morte. A volte si annuncia l'esecuzione, poi questa viene ritirata, salvo riannunciarla dopo qualche tempo. È quanto stanno vivendo Ahmad Djalali e la sua famiglia. Una reale forma di tortura, di grave pressione psicologica che colpisce il condannato e tutti i suoi famigliari». La vita, il valore della vita, «sono più importanti di uno Stato. Non è che lo Stato può decidere della vita di una persona. Tutto questo - aggiunge Sironi - va cambiato alla radice. La vicenda di Ahmad, nella sua grande drammaticità, è interessante, significativa. Ci fa capire come qualcosa del genere, essere condannati alla pena capitale, possa capitare a chiunque. Indistintamente».
Anche in molti Paesi «cosiddetti democratici abbiamo a che fare con l'uso della pena di morte, anche a scopo politico. Siamo tutti a rischio fino a che resiste questa grave forma di ingiustizia, che, spesso, colpisce innocenti. Manifestare - sottolinea Sironi - è importante perché contribuisce a costruire una cultura della vita, quella che sente che la morte come pena è inaccettabile, disumana e alla fine inconcepibile. È una battaglia per avere una giustizia che sia giustizia e non un abuso. La vita va preservata».
Per Ahmad nessuno ha potuto impedire «che accadesse che l'arrestassero e lo condannassero a morte. Se avesse saputo che gli sarebbe successo tutto questo - conclude - non sarebbe certo tornato nel suo Paese (Djalali è con doppia nazionalità, iraniana e svedese, ndr). In quel momento aveva piena fiducia nel farlo ed è tornato in Iran».
[ Monica Curino ]