Paglia: Parroco appassionato e pastore «in uscita»

Il ritratto
«Aiuterà a percorrere con rinnovato spirito strade e piazze delle città e delle periferie»

Un «pastore». Una «vocazione sacerdotale segnata fin dall'inizio dalla passione per il Vangelo in uscita, come direbbe papa Francesco». E perciò «capace di mettere in atto una pastorale mai schematica e sempre dialogante. Con tutti».
E' questo il profilo del cardinale Matteo Zuppi tracciato da chi ne ha accompagnato la chiamata a consacrarsi al Signore: l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, che lo ha avuto come viceparroco a Santa Maria in Trastevere e come successore in quello stesso incarico.
Monsignor Paglia, chi è il sacerdote (e oggi cardinale) Matteo Zuppi?
lo ho visto sbocciare la sua vocazione. Da quando era un ragazzo proveniente da una famiglia religiosissima (il cardinale Carlo Confalonieri era suo parente) e anche numerosa. Quel ragazzo, nel servizio con i giovani di Sant'Egidio, maturò la sua dimensione di servizio ministeriale soprattutto verso le frontiere della pastorale degli anni '70, quando soffiavano insieme i venti del '68 e lo spirito del Concilio.
Come definirebbe la sua personalità presbiterale?
Non c'è dubbio che sia stata segnata fin dall'origine dalla passione per il Vangelo in uscita. Dopo l'ordinazione, l'ho avuto come viceparroco a  Maria in Trastevere. Il quartiere era in quegli anni ricco di contraddizioni e segnato da una forte malavita giovanile, legata soprattutto alla fabbricazione e allo spaccio della droga. Don Matteo riuscì a scoprire anche in questa zona nel cuore di Roma le periferie esistenziali, dedicandosi soprattutto ai giovani più a rischio di devianza e agli anziani soli.
Qual era la peculiarità di questo suo impegno sul campo?
C'era una tensione positiva, fortemente radicata nello studio della pagina evangelica, che lo portava a una pastorale non schematica, ma capace di dialogo con le diverse anime del territorio parrocchiale: dal ragazzo disadattato allo straniero all'intellettuale.Fu un apprendistato utilissimo, che continuò a mettere in atto anche da parroco, quando mi succedette nell'incarico. Davvero il parroco don Zuppi era un punto di riferimento per tutti.
Un gesto che più di altri parla della sua personalità?
Io rimasi molto colpito quando lasciò Santa Maria in Trastevere per rispondere alla chiamata che lo rendeva parroco a Torre Angela, zona di periferia anche geografica. Là ha completato, possiamo dire, la sua formazione di prete di strada, attento agli ultimi e ai più disagiati. Una caratteristica che lo ha accompagnato poi sia nel ministero di vescovo ausiliare a Roma, sia adesso che è arcivescovo di Bologna.
C'è secondo lei un'icona evangelica che più delle altre rispecchia la personalità del cardinale Zuppi?
Mi piace pensare che sia quella del Buon Samaritano, cioè di una figura che, sull'esempio di Gesù, si distanza molto dal clericalismo ritualistico e freddo, per chinarsi su chi è ferito dalla vita. Don Matteo è uno che se non ha il cavallo, il poveretto se lo carica addosso.
Quali sono stati i suoi maestri di spiritualità e di teologia?
Molte letture patristiche e bibliche e una predilezione per sant'Ambrogio, studiato con particolare cura. Tra i teologi, Congar è senz'altro tra i suoi autori preferiti. Ma ama anche la letteratura sacerdotale del '900, Mazzolari, Milani e Charles de Foucauld, insieme a Madeleine Delbrël. Nei suoi anni di formazione si è rifatto anche all'esperienza dei preti operai di Parigi, terra di missione. In definitiva predilige una teologia incarnata, non da scrivania, per così dire.
Come se lo immagina nel ruolo di presidente della Cei?
Sono sicuro che queste dimensioni continueranno ad accompagnarlo anche nel nuovo incarico. Aiuterà la Chiesa italiana a percorrere con rinnovato spirito le strade e le piazze delle città e delle periferie, mantenendo il suo dna di pastore di strada. Se mi è consentita una battuta, sarà sempre don Matteo, ma non per fiction. 


[ Mimmo Muolo ]