La vita, dono da curare, non va buttata a mare

In Santa Cristina la Veglia di preghiera, promossa da S. Egidio, per i migranti morti nel Mediterraneo

Per una tragica, quanto prevedibile coincidenza, mentre continua inesorabile il bollettino di migranti morti, dal Texas al Marocco, e i giornali - quasi fosse una nuova moda - parlano di boom di migranti, ci si è trovati a pregare nella chiesa di Santa Caterina martedì 28 giugno, Giornata mondiale del rifugiato. Una iniziativa promossa da Sant'Egidio che, già nel titolo, associa "Morire di speranza": una Veglia di preghiera in memoria di quanti perdono la vita nei viaggi verso l'Europa. 3.200 i profughi che, da gennaio ad oggi, sono morti nel Mediterraneo e lungo le vie di terra. Uomini e donne, ma anche bambini, che nel cercare una via di salvezza trovano la morte, la fine dei loro sogni.
Il loro volto, i loro occhi, li abbiamo riascoltati nell'elenco delle vittime, ma soprattutto lo abbiamo visti nella Croce, portata al centro dell'assemblea. Volti che continuano ad appellarci, anche se spesso restano senza nome: «Ero forestiero, nudo... e mi hai... non mi hai accolto». Proprio questa pagina, tratta dal capitolo 29 del Vangelo di Matteo, è stata meditata e commentata da don Abdou Rahal, delegato episcopale per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso, che ha presieduto la Veglia. Condividendo dolore e amarezza, sperimentata nella sua stessa esperienza di guerra. Viene infatti dalla Siria.
Insieme a lui anche padre Sergio, responsabile della chiesa ortodossa moldava, che con alcuni rappresentati della comunità hanno aiutato a pregare col canto. «la vita è un dono, che va curato e custodito». E non buttato a mare. Che cosa fare allora di fronte a questi drammi? «La nostra forza - ha ribadito don Rahal - è la preghiera, che nutre la fede e diventa storia di amore, di umanità». E si traduce in impegni precisi: far smettere le guerre, lottare per la giustizia, educare all'umanità, per avere uomini e donne maturi, sapienti.
«Solo quando siamo umani, abbiamo un sentimento sincero, possiamo condividere, essere sensibili ai bisogni dell'altro e uscire dal nostro egoismo. Se invece siamo abituati a vivere da individualisti, non abbiamo interesse né sensibilità per quanto succede nel mondo. Se la Parola di Dio è luce che guida i nostri passi, apriamo i nostri cuori a questa Parola che ci educa e ci fa capire cosa fare». Senza nasconderci dietro ad alibi.
«La morte in mare non è una favola, ma una verità che fa male». Una realtà di fronte alla quale non rimanere spettatori o voltarci dall'altra pare, ma lasciarci guidare dalla fede per «vedere nell'altro il Signore, accoglierlo, amarlo, essere accanto a lui ed offrirgli la dignità che merita, propria dell'essere umano». lnsierne a tanto buio, anche dei punti luce, che sono gli uomini e le donne che si prendono cura e accolgono, le associazioni e le comunità che cercano vie alternative, come i corridoi umanitari.
Come la stessa accensione dei ceri testimonia, intrecciando il ricordo, la memoria, ma anche l'impegno perché si possa vivere di speranza. E, mentre ascoltando nomi ed età, può venire spontaneo anche chiedere al Signore: tu dov'eri, risentiamo la sua voce interpellarci: «E tu, dov'eri? Dove
 sei?».


[ Maria Cecilia Scaffardi ]