Il monito di Zuppi: partire dai poveri. La libertà di coscienza non è indifferenza

Matteo Maria Zuppi «Dalla parte dei poveri. E l'Italia on si isoli»
Il cardinale presidente della Cei riflette sulla situazione politica e sociale. L'appello al voto, la difesa del metodo di collaborazione. «Combattiamo ogni povertà»

Un appello perché «in questo momento importantissimo» chi fa politica e si candida a governare il Paese «parta dal tema della povertà», perché la Chiesa continua a essere dì tutti ma sempre «particolarmente dei poveri e solo così è di tutti». Una povertà non solo economica: «Riguarda tutte le fragilità che le pandemie rivelano drammaticamente e che impongono l'urgenza di una risposta». Perché «tante felicità individuali non fanno la felicità di tutti. Che felicità è quella che vivi da solo? E l'affronto della povertà che ci spinge a pensare a un futuro migliore».
E ancora, un appello alla Politica che, riprendendo il richiamo di papa Francesco, «è una scelta di Amore, non di opportunismo o, peggio, di sola convenienza personale o di gruppo». Un invito a votare rivolto a tutti, anche ai cattolici: «La Chiesa è per la libertà di coscienza, non è certo per la libertà dell'indifferenza, con le sue varianti, da quella diffusa di chi si fa selfie anche davanti alla morte degli altri o a quella polarizzata da uno schieramento agonistico che non fa rigorosamente nulla per rendere migliore l'aria inquinata e poco salubre dell'odio e dell'aggressività». E infine la difesa di un metodo: «Lavorare insieme e cercare, da posizioni diverse, l'interesse nazionale, europeo, internazionale. Questi sono legati».
Il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, accetta di fare questa chiacchierata con Buone Notizie «perché condivido lo spirito di un inserto che valorizza le tante buone pratiche del nostro Paese, che ci sono e non rappresentano il buonismo, ma il bene, la riserva di umanità, la sapienza più profonda del nostro umanesimo, argine alla solitudine e al devastante individualismo 
egolatrico». E, con questo spirito, non pretende '«di dare lezioni o tagliare giudizi ma fornire un contributo, con semplicità e determinazione».
Dunque, Eminenza.
«Don Matteo va benissimo».
Don Matteo, fra poche settimane si vota: è un momento delicato per il Paese?
«Penso sia un momento decisivo, dopo due anni di enorme e diffusa sofferenza che ha coinvolto tutti. Non dimentichiamo e non abituiamoci mai alla sofferenza. A me piace stare bene - d'altronde, penso sia così per tutti - ma qual è l'intenzionalità di questa esigenza? Certamente non il far finta di non vedere o non rendersi conto della sofferenza. Lo avevamo capito che la barca è la stessa per tutti, tuttavia si riaffaccia sempre la stolta convinzione di potercene stare in un cabinato senza renderci conto che anche lì i problemi sono sempre quelli di tutti. Le tempeste delle epidemie sono violentissime e imprevedibili, per tutti, non fanno distinzioni».
Pandemie? in che senso?
«I poveri in Italia sono quasi sei milioni e già questo deve costringerci a domande sulle occasioni sprecate e sulle scelte da fare, senza illudere con promesse che non possiamo mantenere e combattendo la povertà, non i poveri. Abbiamo opportunità di lavoro per tanti. Non c'è bisogno di itinerari seri di formazione e di occasioni di lavoro che non siano perennemente precarie? Per questo non servono spot o azioni-tampone, importanti nella fase più acuta dell'emergenza. Possono essere necessari, ma allo stesso tempo concorrono a fare ammalare se manca una visione d'insieme. La sofferenza, ce lo ripetono tutti, è destinata a crescere. Per questo è richiesto il coinvolgimento di tutte le donne e di tutti gli uomini. La Chiesa, rilevante o no che sia, continuerà a dire che i poveri e quindi la persona sono rilevanti e che la politica deve mettere al centro la persona e difenderla. E sia chiaro che non parlo soltanto della povertà alimentare: parlo anche di chi affronta qualunque fragilità, isolamento, fatica. Don Milani diceva che "noi abbiamo per unica ragione di vita quella di contentare il Signore e di mostrargli d'aver capito che ogni anima è un universo di dignità infinita". Mi ci ritrovo».
La Chiesa davanti al voto?
«La Chiesa è per la libertà di coscienza, che non è la libertà dell'indifferenza. La vera scelta è difendere e amare la persona, di qualsiasi alfabeto e colore, dalla A alla Z. La polarizzazione, così di moda e prepotente, non aiuta, anzi... Inganna e crea illusione: ci si immagina dalla parte giusta o in difesa di verità, invece il più delle volte si finisce smarriti, mettendo in pericolo proprio quella verità che si riteneva di difendere».
Ciclicamente torna il tema dei cattolici in politica: cosa ne pensa?
«La politica è in difficoltà perché si è ridotta anch'essa alla difesa dei diritti individuali, mentre la politica difende l'individuo perché difende la cosa pubblica, comune. E il comune si è allargato nel frattempo. lo mi auguro che tanti cattolici si impegnino in politica e che lo facciano con Amore, come chiede Papa Francesco nella Fratelli Tutti. Lo metta con la A maiuscola, perché non è avventura, una fiammata stagionale, secondo le convenienze. Le scottature, però, dopo durano per tanto tempo! E poi l'Amore vero dura e resiste alle avversità. Se la politica è convenienza, profitto, possesso, non è Amore. I surrogati sono pericolosi, fanno male, deludono, riempiono di delusione e disillusione. Ecco, io mi auguro che questa sia la vera discriminante sulla base della quale scegliere e impegnarsi. Amore dalla A alla Z. La vita è bella dalla prima all'ultima lettera, anche quando non la capiamo. E il problema di ognuno è generare vita, trasmetterla in tanti modi: altrimenti a che serve? E non penso solo alla natalità».
Ha ascoltato in campagna elettorale qualche messaggio che l'ha disturbata?
«Direi che evidenzio una difficoltà: ci stiamo dimenticando la severa lezione degli ultimi mesi, durante i quali molte azioni hanno richiesto il contributo di tutti, in fondo anche dell'opposizione, perché bisognava trovare soluzioni possibili e durature. Serve collaborazione, intelligenza, capacità di raggiungere l'obiettivo e, quindi, dobbiamo rifuggire la tentazione dell'isolamento».
In che senso?
«Mario Draghi al Meeting ha detto bene che "l'Italia non è mai stata forte quando ha deciso di stare da sola". Nessuno è forte quando pensa di fare da solo! Ecco, io mi auguro che, qualsiasi scelta uscirà dalle urne, qualcosa di questo metodo di serietà, rigore, amore delle istituzioni e correttezza istituzionale, anche nei necessari cambiamenti, non venga messo da parte o in discussione. Serve un confronto costruttivo, pur nelle differenze, che cerchi e realizzi l'interesse nazionale, quindi europeo e internazionale».
L'Italia, come dice Draghi, ce la farà?
«Sì, lo penso anche io. Non per slogan alla "andrà tutto bene", ma perché da cristiano sono uomo di speranza. L'ottimismo non lo trovi più alle prime difficoltà, mentre la speranza non molla, non si ferma, le affronta».
I giovani si stanno disaffezionando alla politica: come recuperali?
«Io credo che i giovani abbiano grandi speranze, poi noi le incartiamo nella nostra disillusione. Senta, io ho ormai la Carta Argento da due anni, eppure penso che posso e debbo credere ancora al futuro e cercare di costruirlo. Così magari restituiamo anche a loro il gusto di guardare con speranza quel domani che altrimenti spaventa o sembra sempre troppo complicato».
Matteo Maria Zuppi, 66 anni, nato a Roma, laureato in Lettere all'Università Sapienza, dal 27 ottobre 2015 è arcivescovo metropolita di Bologna La nomina Nel 2019 è stato elevato cardinale da papa Francesco e il 24 maggio scorso presidente della Conferenza Episcopale Italiana Negli anni Settanta prima di entrare in Seminario collaborava con la Comunità di Sant'Egidio Il suo primo incarico parrocchiale è stato alla basilica di Santa Maria in Trastevere di Roma dove è rimasto per 19 anni. 


[ Elisabetta Soglio ]