Rifugiati, il lavoro è servito

Accordo di Sant'Egidio con il ristorante "Zi Umberto": così si risolve la carenza di personale
Ristoranti senza personale, Sant'Egidio "aiuta" Trastevere

I turisti che gli chiedono di bere il cappuccino mentre mangiano l'amatriciana, non li fa neanche sedere a tavola. Per il resto, invece, nel suo locale accoglie tutti. Simpaticamente irremovibile a proposito dei dogmi della cucina romana, Paolo infatti ha il cuore grande: proprio come i trasteverini doc, gente che si fa in quattro per aiutare gli altri. E così che Paolo Catarinozzi dell'osteria "Zì Umberto" di piazza della Malva, ha accolto tra i suoi tavoli tre ragazzi in difficoltà.
Tre giovani arrivati in Italia privi di tutto e che, non sapendo dove andare, hanno chiesto aiuto alla comunità di Sant'Egidio, ed è proprio li che hanno trovato anche un lavoro. Una bella storia, anzi la storia di una Roma che sa ancora farsi voler bene: «Non trovavo camerieri per il mio ristorante - spiega Paolo, dalla sua storica osteria a due passi da piazza Trilussa - e allora mi sono detto: perché non chiedere ai miei amici di Sant'Egidio se c'è qualcuno che vuole lavorare con me? Così ho fatto. Ora ho due ragazzi in più in sala e una ragazza in un altro locale, in piazza delle Tartarughe. E sono tutti davvero bravi: ci siamo trovati subito bene».
I tre giovani stranieri sono stati assunti con un contratto di apprendistato e seguono regolarmente anche i corsi di formazione di 50 ore. Insomma, stanno imparando un mestiere per garantirsi un futuro. E potranno continuare a farlo lì, da "Zì Umberto", dove servono a tavola soprattutto agli stranieri in vacanza. Non si risparmiano anche a spiegare che la panna nella carbonara proprio non ci va e apprezzano i romani in cerca di una cacio e pepe fatta come si deve.
Paolo lavora in piazza La Malva dal 2007. «Ma sono nei ristoranti da quando avevo 16 anni, ho girato il mondo iniziando come cameriere e so cosa vuol dire farsi le ossa in un Paese che non conosci. Perciò questi tre ragazzi, se lo vorranno, resteranno a lavorare da me anche dopo l'apprendistato».
Tra i tavoli c'è Abdul, appena ventenne, sorride e fa accomodare i clienti: «Vengo dalla Somalia - racconta mentre porta piatti e bicchieri in tavola - non ho più nessuno: mio padre è morto e una mamma non ce l'ho mai avuta. La mia casa adesso è qui, dove ho incontrato persone che mi hanno aiutato». Il lavoro gli piace, anche se fare il cameriere a Trastevere non è affatto facile: «La sera senti tanta stanchezza, ma meglio così». 


[ Lorena Loiacono ]