Un futuro di speranza dove i muri non esistono

Martedì 25 ottobre a Roma si è svolto l'Incontro interreligioso 'Mediterraneo, il mare plurale" della Comunità di Sant'Egidio

«Ci sono tante tentazioni che spingono a pensare la sicurezza come esclusione dell'altro. In realtà non si è mai sicuri, escludendo l'altro. I muri non garantiscono anzi complicano la sicurezza. La convivenza invece è generativa». È un appello ad un Mediterraneo di incontro quello lanciato il 25 ottobre dai relatori che hanno preso parte a Roma al Forum "Mediterraneo, il mare plurale", organizzato nell'ambito dell'incontro interreligioso della Comunità di Sant'Egidio.
Un coro unanime ad abbattere i muri, a fronteggiare le "sirene politiche" che inneggiano alla sicurezza e alla divisione, a farsi prossimi delle sofferenze e dei dolori che attraversano non solo le acque ma anche i popoli delle terre che si affacciano sul "Mare Nostro". «Il Mediterraneo — ha detto il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana — è da sempre un luogo di convivenza, necessariamente di mediazione. E c'è un grido che sale dal Mediterraneo che non dobbiamo dimenticare, un grido che dice: salvami! La pace comincia nel salvare la vita e la speranza. Se muore la speranza, muore anche la persona».
Nel suo intervento, Zuppi ha parlato di migrazione. «Deve essere affrontato non tanto in termini di sicurezza ma in termini innanzitutto di umanesimo e umanità», dice. «Dobbiamo ancora liberarci dalla tentazione di vivere soltanto con la paura. Lasciamo questo al passato e cerchiamo — ed è questa una responsabilità di tutta l'Europa — un approccio che non sia solo non di sicurezza ma di visione, di futuro e fare del Mediterraneo il laboratorio dell'incontro». «Non c'è futuro senza accoglienza e l'accoglienza è sempre legata alla convivenza. Chi accoglie, sa convivere, chi non accoglie resta solo», avverte Zuppi. «La pace — aggiunge — ha bisogno di dialogo, di costruire ponti e abbattere tanti muri. Qualche volta sembra strano dialogare. Per alcuni è ingenuo o addirittura pericoloso ma è strano non farlo perché altrimenti crescono i pregiudizi e non si può rispettare ciò che non si conosce. Proprio per questo dobbiamo imparare a dialogare. Il Mediterraneo deve essere una cerniera e non un muro perché solo vincendo le paure, si può trovare il proprio futuro».
Nel prendere la parola, cardinale Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, mette in guardia sul rischio di rimanere indifferenti ai dolori che attraversano i popoli del Mediterraneo. «Fino a quando l'indifferenza continua a soffocare l'indignazione, non ci sono speranze», dice. «Ci chiediamo, perché l'Unione Europea continua a finanziare le mafie della Libia che mantengono aperti campi di concentramento per migranti nel Paese? Fino a quando le nostre coscienze rimarranno sorde ed anestetizzate a tutto questo? Quando si risveglierà la coscienza del Mediterraneo».
Il cardinale ha invitato a mettersi in ascolto del "popolo" che "è capace — ha detto — di vivere la pluralità come un breccia di futuro e non come una minaccia. Bisogna resistere a tutte le sirene politiche che cercano di farci credere che l'immigrazione è soltanto una minaccia. Non è così. E' anche un vantaggio ed una risorsa. Fino a quando ci lasceremo anestetizzare da questi messaggi politici che non fanno che diffondere la paura e rifiutano di vedere la speranza del popolo». L'arcivescovo Aveline ricorda di averne parlato al Papa. «Anche il Mediterraneo — ha detto l'arcivescovo di Marsiglia a papa Francesco — merita un Sinodo. I problemi del Mediterraneo sono sfide che l'intero pianeta deve raccogliere. E devo dire che — ha quindi aggiunto Aveline — che il Papa mi ha ascoltato e mi ha detto: ottima idea».


[ Maria Chiara Biagioni ]