Panettoni a Rebibbia «La bontà non lascia soli»

La solidarietà con i detenuti per le feste. Don Fibbi: «Giorni duri, piccoli gesti importanti»

Panettoni e pandori contribuiranno a portare lo spirito natalizio anche in carcere. Procede spedita, infatti, "La bontà non lascia soli", la raccolta del tradizionale dolce delle feste per gli oltre 2.300 detenuti dei quattro istituti penitenziari di Rebibbia, promossa dai cappellani, unitamente alla diocesi di Roma. «E' un piccolo gesto ma di rilevante importanza perché viene dalla realtà esterna, cioè dalla società civile che normalmente guarda al carcere con pregiudizio pensando che le persone recluse abbiano delle colpe che non riusciranno mai a espiare durante il percorso - dice monsignor Marco Fibbi, cappellano coordinatore degli istituti penitenziari di Rehibbia -: Quando spieghiamo che il panettone non è stato acquistato, non è oggetto di uno scambio economico, ma è stato donato da cittadini che hanno voluto far sentire la loro vicinanza con questo piccolo segno di fraternità e di condivisione, i detenuti si sentono incoraggiati, si riconciliano con il mondo esterno».
A Rehibbia non ci si prepara al Natale solo con la festa, qualche tombolata in alcuni reparti, e il pranzo. «Soprattutto per i credenti - spiega il sacerdote - il Natale in carcere è segnato dal momento della Messa». Il clima delle feste ha "invaso" il carcere il 3 dicembre quando si è svolta «una festa di Natale con le loro famiglie durante la quale i bambini hanno addobbato gli alberi - prosegue don Fibbi -. Piccoli gesti importanti da un lato ma che dall'altro non alleviano la tristezza e quel senso di solitudine che in questi periodi si fa sentire maggiormente. I giorni veri delle feste, cioè il 25, il 26 dicembre e il primo gennaio sono molto duri per i detenuti. Quest'anno, poi, coincidono con la domenica e non avranno la possibilità di fare i colloqui, di vedere i familiari o di poterli contattare telefonicamente perché nei giorni di festa il personale è ridotto e questo non consente di accedere al centralino».
Don Andrea Carosella, cappellano della Casa circondariale femminile di Rebibbia, celebrerà la Messa alle 22 del 24 dicembre. «La celebrazione nella Notte di Natale è una tradizione - sottolinea il sacerdote -. Le detenute aspettano questo momento, Il Natale ë per eccellenza la festa della famiglia e .per loro è molto difficile viverlo lontano dai propri affetti. Per questo è importante ricevere il messaggio che il Signore è vicino ad ognuno e non abbandona mai nessuno neanche nelle situazioni più buie». Sacerdote da 25 anni, cappellano da un anno e mezzo, don Andrea aveva conosciuto la realtà carceraria durante il servizio pastorale di formazione quando frequentava il seminario. «E' la mia prima esperienza da cappellano - racconta -. Giorno dopo giorno sto imparando come vivere al meglio questo servizio. La cosa fondamentale è stare accanto alle detenute, aiutarle a non perdere la speranza e la fiducia. Si sentono giudicate e additate dalla società, un peso non semplice da portare. Con i volontari cerchiamo di far comprendere loro che non sono sole, il nostro è un invito a rialzarsi e ad avere fiducia nella misericordia di Dio».
Paolo Impagliazzo, della Comunità di Sant'Egidin, è da 15 anni volontario nel nuovo complesso maschile di Rehibbia. «Vorremmo poter incontrare tutti i detenuti - afferma -, portare loro un regalo, un augurio, essere una famiglia per contrastare la loro disperazione in queste giornate». Facendo riferimento all'alto numero di suicidi avvenuto nelle carceri quest'anno - pari a 79, ossia il tasso più alto degli ultimi dieci anni secondo una ricerca del Garante nazionale detenuti - Impagliazzo rimarca che «questo Natale deve rispondere alla drammatica situazione che gli istituti penitenziari stanno vivendo». Tra le proposte quella «di costituire una rete che possa offrire una seconda possibilità a chi è in carcere: I detenuti che negli istituti di pena hanno la possibilità di lavorare o di contribuire alla società hanno una recidiva molto bassa, il che significa che il carcere può essere un'opportunità per il reinserimento nella società»


[ Roberta Pumpo ]