Sovraffollamento, criminalità e diritti umani

Sovraffollamento, criminalità e diritti umani

Aspetti diversi della sfida da vincere sulla via della redenzione: l'analisi di Gianni La Bella dell'università di Modena e Reggio Emilia

La popolazione carceraria, un'«umanità ferita» bisognosa di «redenzione». Parte dalle parole di Papa Francesco la riflessione di Gianni La Bella, professore ordinario di Storia contemporanea all'università di Modena e Reggio Emilia, sulle carceri in America Latina, a pochi giorni dalla rivolta nei penitenziari e dalla violenza nelle strade dell'Ecuador, ad opera di bande criminali legate ai cartelli della droga messicani.
«In America Latina la struttura carceraria non ha purtroppo alcun profilo per essere un luogo in cui sia possibile, per le persone che vengono recluse, trovare una redenzione della propria vita», osserva il docente, profondo conoscitore delle dinamiche latinoamericane, che da anni segue per la Comunità di Sant'Egidio. «C'è un universo concettuale che fa delle carceri un luogo di assoluta repressione ed esclusione dal resto della società. Negli ultimi anni la popolazione carceraria in America Latina è cresciuta esponenzialmente: il primo vero problema delle carceri è dunque il sovraffollamento. Ad Haiti per esempio si va a oltre il 450%, un record raggiunto anche in altri Paesi come il Guatemala, la Bolivia, l`Ecuador, dove le persone recluse vivono alle volte anche con altri 15 detenuti, in luoghi dove i minimi diritti umani sono massicciamente calpestati».
Proprio l'Ecuador è passato da essere uno dei Paesi più sicuri della regione ad uno dei più pericolosi. Il 2023 è stato l'anno maggiormente letale della sua storia recente, con quasi 7.600 morti violente (in vertiginoso aumento quelle dei bambini), rispetto alle poco più di 4.000 dell'anno precedente. «La popolazione carceraria di tutto il Paese - evidenzia - è nelle mani di organizzazioni criminali, legate ai cartelli messicani della droga, le quali spesso di fatto, in alternativa, in combutta o nell'indifferenza della struttura pubblica, prendono in mano la gestione del carcere, instaurando un clima di sopraffazione, violenza, sfruttamento, come una sorta di Stato nello Stato».
«È interessante notare che il presidente Daniel Noboa, per motivare l'applicazione delle misure repressive contro le bande criminali dell'Ecuador, abbia equiparato la rivolta delle carceri alla presenza di un conflitto armato interno, quindi a una sorta di sollevazione in armi contro i poteri legittimi dello Stato. E ciò ha permesso l'applicazione di un regime speciale che ha come modello quello che è stato realizzato a El Salvador». Il riferimento è al programma portato avanti dal presidente Nayib Bukele che, a partire dal marzo 2022, ha invocato i poteri di emergenza come parte di una serie di misure senza precedenti contro le bande armate (le cosiddette maras o pandillas), che ha portato tra l'altro all'arresto di oltre 75.000 sospetti membri di gang, alla sospensione di alcuni diritti, alla costruzione di un maxi-penitenziario capace di ospitare anche 40.000 detenuti. Una strategia che ha di fatto ridotto le azioni criminali su tutto il territorio salvadoregno - gli omicidi sono passati «dai 105 ogni 100.000 abitanti del 2015 ai 17-20 dello scorso anno» - ma ha innescato forti proteste da parte dei difensori dei diritti umani per i metodi usati.
«Il carcere - va avanti - è costruito con due soli materiali: il cemento e il ferro. I detenuti dormono su lastre di ferro senza materasso, i familiari devono pagare per loro cibo e prodotti per l'igiene e i reclusi possono indossare soltanto una sorta di biancheria intima, sono a torso nudo, con lo sguardo rivolto sempre verso il basso. Due cose mi pare importante sottolineare: da un lato il consenso che questo modello sta registrando all'interno dell'opinione pubblica non solo salvadoregna ma latinoamericana in generale e dall'altra quanto esso sia repressivo e lesivo dei più elementari diritti dell'uomo. Siamo cioè lontani da una cultura dell'incontro con chi ha commesso dei delitti, finalizzata a una redenzione, a un sistema carcerario orientato al reinserimento dei detenuti nella società».
Anche in Messico, fa notare La Bella, «dal 2018 a oggi la popolazione carceraria è aumentata notevolmente: le stime, anche se molto approssimative, ci dicono che siamo intorno alle 250.000 persone nell'ambito del regime carcerario». L'incremento è ricondotto dall'analista principalmente a tre fattori: «il ricorso alla prassi sistematica della custodia cautelare, i ritardi nella gestione dei processi e il fatto che si venga portati in carcere per qualsiasi tipo di reato: non esiste di fatto quello che noi chiamiamo regime delle misure alternative, con percorsi di rieducazione, servizio sociale, affidamento». In tale prospettiva il docente dell'università di Modena e Reggio Emilia nota «una cultura che tene ad assimilare tutti i tipi di reato in una sorta di sovversione contro la società» e sottolinea come «per il Messico, come anche per molti altri Paesi dell'America Latina, sia importante mettere in luce le particolari condizioni di indigenza, repressione, umiliazione che soffrono le donne».
Proprio un carcere femminile, quello di Tamara, in Honduras, è stato teatro a giugno scorso della tragica morte di una cinquantina di detenute, principalmente per un incendio scoppiato negli scontri tra bande rivali all'interno della struttura. «Nell'organizzazione del sistema criminale del traffico degli stupefacenti - ricorda La Bella - le donne rappresentano il gradino più basso: sono le cosiddette "mulas" che trasportano, spesso inconsapevolmente, la droga da una parte all'altra del Paese. E negli ultimi anni la percentuale delle recluse per questo reato è altissima».
Il sovraffollamento delle prigioni si ripropone pure in Brasile: il Paese detiene il terzo posto a livello mondiale per popolazione carceraria, dopo Stati Uniti e Cina. «Secondo i dati a disposizione, più del 40% dei detenuti sono in attesa di giudizio e il tasso di sovraffollamento sfiora il 70%», sottolinea La Bella. E cita ancora il caso di realtà criminali che fanno «del carcere un luogo dove gestire totalmente il proprio potere», come la banda "Pcc-Primo commando della capitale", una delle principali organizzazioni criminali del Paese, «alleata con cartelli analoghi, ormai presente in Bolivia, Uruguay, Paraguay e in collegamento anche con la 'ndrangheta calabrese».
 


[ Giada Aquilino ]