Con The Guardians dell'artista albanese Adrian Paci, visitabile fino al 25 giugno, il Museo Diocesano inaugura una serie di mostre di arte contemporanea. Il percorso espositivo alterna fotografie, video, sculture e mosaici, in cui torna spesso il tema della migrazione. Quella dei profughi dei nostri giorni, ma anche dall'Albania, il paese che Paci, milanese d'adozione, lasciò nel 1997: nel Cimitero Paleocristiano, due opere rileggono la storia dell'unico paese europeo che aveva dichiarato l'ateismo di Stato e dove per un segno di Croce si rischiava di finire nei campi di lavoro forzato.
Durante l'incontro "L'arte dell'accoglienza. Migrazioni e corridoi umanitari", è stata un'altra opera al centro dell'attenzione, il video "Rasha". «L'arte deve confrontarsi con la storia», ha detto Paci. E la protagonista, Rasha Meish, era presente alla conferenza. «Grazie - ha detto ascoltandola il vicario episcopale Luca Bressan, - perché questa mostra ci ricorda che dietro ogni migrante c'è una persona».
«Sono di origine palestinese - ha raccontato Rasha - vivevo nel campo profughi di Yarmouk a Damasco. Sono viva grazie ai corridoi umanitari della Comunità di Sant'Egidio». La guerra in Siria ha distrutto la sua famiglia: «Dal campo era impossibile uscire, i cecchini sparavano a vista: un giorno mio marito è uscito per comprare del cibo, non è più tornato. Quando sono andata a cercarlo, mi hanno bombardato e le schegge mi hanno reso cieca». Fuggita in Libano, sconfortata, Rasha ha provato anche a suicidarsi. L'unica via per arrivare in Europa era pagare i trafficanti, non c'erano alternative legali: «Finché sono arrivati gli amici della Comunità, che mi hanno portato a Roma». In aereo, senza rischiare la vita. E Paolo Morozzo di Sant'Egidio ha continuato: «I corridoi umanitari sono una scelta di fronte ai morti nel Mediterraneo. È un progetto-pilota che abbiamo realizzato con il Governo, i valdesi e le Chiese evangeliche e che ha già permesso l'arrivo in sicurezza di 900 siriani dal Libano».
[ Stefano Pasta ]