Il 27 gennaio abbiamo celebrato la Giornata della memoria della Shoah, istituita per legge nel 2000. Questa celebrazione non è un rituale, come tante nella vita civile di ogni Paese. È il ricordo di qualcosa di drammaticamente incommensurabile, avvenuto nel cuore dell'Europa durante la Seconda guerra mondiale: l'uccisione di sei milioni di ebrei. Con loro anche quella di mezzo milione di Rom e di tanti altri. I nazisti, fin da allora, hanno voluto nascondere le tracce di quell'abominio. Il revisionismo storico ha provveduto, di tempo in tempo, a negare o ridimensionare l'accaduto. Invece è importante ricordare. È un debito di fronte ai caduti, ma anche un impegno a che quell'orrore non si ripeta. Ho conosciuto bene un'ebrea romana, Settimia Spizzichino, deportata il 16 ottobre 1943 e, tra i pochi, ritornata a casa. Ormai anziana, Settimia cominciò a raccontare quella terribile esperienza, perché le sembrava che qualcosa di molto grave potesse accadere o stesse accadendo. Così diceva: «E che accadrà quando noi non ci saremo più? Si perderà il ricordo di quell'infamia? Ancora oggi succedono cose terribili.
Anche per questo, per evitare che cose simili accadano ancora, io continuo a ricordare e raccontare; per questo e per la memoria di quelli che non sono tornati. Per mia madre, le mie sorelle, mio fratello, mia nipote. Per le mie compagne assassinate. Per quelli che sono rimasti per la strada durante la terribile marcia che da Auschwitz ci portò a Bergen Belsen e per quelli che da Bergen Belsen non sono usciti. Per tutti gli anni che ci hanno rubato, che hanno rubato ai milioni di uomini, donne, bambini - specialmente bambini! - che sono rimasti nei campi. Quanti anni di vita sono andati in fumo nei forni crematori, nel più mostruoso furto della storia?». La Shoah è stato il più mostruoso furto di vite umane della storia. Dimenticarlo, banalizzarlo, significa perdere il ricordo di quanto male può fare l'uomo quando crea un folle sistema ideologico di esaltazione di un gruppo etnico e di disprezzo degli altri, solo perché etnicamente diversi. Tutti gli ebrei sono stati uccisi solo perché ebrei, perché avevano una storia ebraica, talvolta solo perché portavano un cognome ebraico.
Mai l'Europa era scesa così in basso come con la Shoah. Eppure, questo è possibile anche nel cuore di un'antica civiltà! È una memoria da trasmettere alle giovani generazioni. Ora che stanno scomparendo tanti testimoni di quella vicenda, c'è bisogno di ricordare e di trasmettere. Questa era la volontà i taluni ebrei morti nei lager. Ne è prova il ritrovamento di manoscritti, sepolti sotto terra, perché giungesse fino a noi quel grido terribile di dolore. È un grido che si sente ancora. Infatti, con l'allontanarsi nel tempo di quell'evento, la Shoah non si ridimensiona o si sbiadisce, resta sempre una memoria che orienta il nostro presente.