Qualche mattina fa la tragica notizia, 700 persone avrebbero perso la vita nel canale di Sicilia in un drammatico naufragio. Sarebbero dunque più di mille le vittime del Mediterraneo la scorsa settimana. Di fronte a tale enormità ci si sente schiacciati, quasi inermi.
Ho avuto occasione di conoscere molti richiedenti asilo che hanno affrontato lo stesso viaggio e si sono salvati in qualche modo. Le loro storie, i loro volti, i loro nomi mi sono noti e molto cari. Ho pensato a loro provando a immaginare i volti, le storie, i nomi di queste nuove vittime. Il Papa all'Angelus ha chiesto di pregare per loro, «Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore, affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerre. Cercavano la felicità». Sono come noi, scappano a rischio della vita, perché l'orrore e il dolore che vivono è più grande della paura di affrontare il viaggio.
Si è aperta una profonda ferita nel cuore d'Europa, non solo in quello dell'Italia. E una ferita che non può lasciare indifferente Padova. Dalla dura lezione delle morti in mare che continuano, purtroppo, deve scaturire un messaggio forte che scuota l'Europa, i suoi governi e i suoi cittadini dal torpore. Dopo Mare Nostrum, operazione con cui l'Italia ha salvato migliaia di vite umane, Triton non ha disincentivato gli arrivi. Piuttosto sono aumentate le morti e anche gli sbarchi. C'è un dovere di soccorso alla vita umana in mare.
Alla tavola rotonda organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio a Padova il 17 aprile "Immigrazione e futuro, la città e la sfida dell'integrazione", uno dei temi centrali è stato proprio quello dell'emergenza rappresentata dagli sbarchi dei profughi. E' una questione complessa che richiede risposte articolate. C'è urgenza che la comunità internazionale intervenga per la risoluzione dei conflitti sanguinosi aperti in Medio Oriente e in Africa. C'è bisogno che l'Unione europea assuma maggiore responsabilità rispetto a quanto sta avvenendo nel Mediterraneo. Tuttavia occorre anche misurarci con la sfida di una comune responsabilità dell'accoglienza. Una responsabilità da assumere e condividere anche nella nostra città, nella nostra regione, nelle nostre comunità locali.
La tragedia di oggi è come un grido. Questo deve essere il tempo della solidarietà. Non sono poche le espressioni della società civile a Padova, in Veneto, che si sono mobilitate e continuano a impegnarsi. Oggi è necessario anche un coordinamento fra le istituzioni. Un clima da "guerra fredda" interna non fa bene a nessuno. Tutti siamo ugualmente interpellati da quanto accade nel mondo e dal dolore delle persone.
Non ci troviamo di fronte a una invasione. I numeri lo dicono, come ha dimostrato alla tavola rotonda il prefetto Mario Morcone, responsabile immigrazione per il Ministero dell'Interno. Sono 80.000 i richiedenti asilo in questo momento in Italia, di cui in Veneto, è stato accolto solo il 4%. Nella provincia di Padova circa 370 persone. La nostra regione, le nostre città, i nostri comuni sanno e possono essere più generosi. Non si dimentichi la nostra storia. Dal Veneto tra '800 e '900 sono emigrate milioni di persone - da tempo lo ricorda Gian Antonio Stella -, con storie del tutto simili a quelle che vediamo oggi. Sì, i profughi del Mediterraneo sono davvero come noi, non possiamo dimenticarli, non vogliamo abbandonarli.
Alessandra Coin
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