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Popoli

22 Septiembre 2011

In cammino verso Assisi, venticinque anni dopo

 
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Il 27 ottobre del 1986, Giovanni Paolo II convocò ad Assisi i rappresentanti delle Chiese cristiane e delle grandi religioni mondiali per elevare una grande e comune invocazione per la pace. Un grande evento, cui sono seguiti cambiamenti epocali.
Se nel 1986 si era ancora in piena guerra fredda e incombeva la minaccia nucleare, da allora le vicende del mondo contemporaneo hanno conosciuto un'incredibile accelerazione dagli esiti imprevedibili: la fine dell'impero sovietico, lo sfaldamento del cosiddetto Terzo Mondo, l'avanzamento del processo di globalizzazione, la manifestazione del terrorismo internazionale 1'11 settembre 2001.
Nella preghiera per la pace di Assisi si riunirono, attorno al Papa, 124 rappresentanti delle confessioni cristiane e delle grandi religioni mondiali. Gli uni accanto agli altri, e non più - come notò Giovanni Paolo II - gli uni contro gli altri. Uno storico ha scritto che quell'iniziativa ha rappresentato sì «una svolta dell'atteggiamento del cattolicesimo contemporaneo verso le religioni», ma pure una svolta nella visione che le religioni non cristiane hanno del cristianesimo.
Lo «Spirito di Assisi» ha intuito il profondo rapporto esistente tra religione e pace.
L'immagine di Assisi costituisce una delle grandi icone di speranza del Novecento religioso. Raffigura la fecondità del dialogo tra le religioni, chiave di volta per la costruzione di una nuova civiltà in questo mondo conflittuale, una civiltà del convivere fondata sull'arte del dialogo. Ma è un'icona che viene da lontano.
Da un secolo, il Ventesimo, gravido di speranze ma anche di immani sofferenze. Lungo tutto il Novecento qualcosa ha avvicinato i credenti e, nella seconda metà del secolo, genti di religioni
diverse si sono parlate e incontrate come mai prima nella storia. Il Concilio Vaticano II ha recepito tale novità fornendo una spinta propulsiva decisiva con la Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, la cosiddetta Nostra Aetate, in cui la Chiesa si assume il compito di «promuovere unità e carità fra gli uomini, e anzi tra i popoli», in un tempo di accresciuta interdipendenza.
Nei decenni successivi le migrazioni e l'abbattimento delle frontiere hanno visto moltiplicarsi le terre di coabitazione tra credenti di varie religioni, stimolando la necessità di dialogo.
Assisi 1986 è il frutto maturo di questa stagione: i leader religiosi insieme in preghiera davanti al mondo, come cercatori di pace. Non si è trattato di una cerimonia in più, ma di una comune manifestazione di fiducia nelle energie spirituali e nella straordinaria «forza debole» della preghiera, senza commistioni sincretistiche, nel rispetto delle diversità, in una sinergia
tra dialogo interreligioso e impegno dei credenti per la pace. Nel discorso conclusivo Giovanni Paolo II affermò: «Forse mai come ora nella storia dell'umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace (...) la preghiera è già in se stessa azione, ma ciò non ci esime dalle azioni al servizio della pace».
Rispondendo a quest'appello, la Comunità di Sant'Egidio ha inteso non solo contemplare l'icona di Assisi, punto di arrivo e di ricezione creativa del Concilio, ma soprattutto fame fruttificare lo spirito promovendo una rinnovata solidarietà tra culture e popoli diversi.
Grazie alla Comunità e a tanti responsabili di ogni credo, lo «Spirito di Assisi» ha raggiunto molte città d'Europa, oltre a Gerusalemme e Washington. Venticinque anni di cammino, cui si sono aggiunti uomini e donne di cultura o che non professano una fede. La preghiera e l'impegno dei credenti sono stati riproposti come energie capaci di bonificare quel terreno di ostilità che favorisce lo sviluppo dei conflitti.
Cosa può suggerire lo «Spirito di Assisi» oggi, in un tempo in cui messaggi, culture, processi si incrociano? E perché si è sentito nuovamente il bisogno di un incontro come quello di 25 anni fa?
In epoca di globalizzazione i cambiamenti avvengono con rapidità ed è difficile registrarsi. Una difficoltà avvertita anche dai mondi religiosi. Lo «Spirito di Assisi», cioè l'avvicinamento amichevole tra religioni diverse, in passato spesso nemiche o indifferenti le une alle altre, fa emergere ulteriormente quanto un messaggio di pace sia insito in profondità forse in tutte le grandi
tradizioni religiose del mondo. E sorprendente come, proprio sul finire di un secolo che avrebbe dovuto vedere la scomparsa delle religioni, queste siano state nuovamente proiettate nello spazio pubblico, in connessione talvolta con la rinascita delle nazioni, altre volte con la protesta degli esclusi, altre volte ancora con i conflitti o il ridisegnarsi delle identità.
Cosa vogliono e cosa possono oggi gli uomini e le donne di religione? Essi vivono sempre meno in mondi culturalmente e religiosamente omogenei.
Genti di religione o etnia diversa vivono più mischiati. È l'esperienza dell'Europa di fronte all'immigrazione, ma anche alla nuova comunanza tra Est e Ovest.
È la sfida del continente africano, dove la tenuta di Stati nazionali infragiliti è messa alla prova dalla pluralità di etnie, gruppi, confessioni. Vi è poi la sfida rappresentata dal rinascere del nazionalismo, con la sua pretesa di omogeneità e il particolare rapporto con la religione, che in alcune regioni del mondo ha prodotto episodi di pulizia etnica. Al contempo, nel mondo virtuale si entra a contatto con tutti, si vive sempre più assieme e l'incrocio con chi è diverso da sé è un destino. C'è, infine, la sfida di vivere in un mondo in cui si vede tutto, soprattutto l'abisso tra la ricchezza di pochi e la miseria di tanti.
Sempre più, la condizione umana sta diventando il convivere. È la quotidianità per molti popoli, religioni, gruppi. Non sempre è facile. Orizzonti troppo ampi quali quelli della mondializzazione, inducono fenomeni preoccupanti: individualismi irresponsabili, tribalismi difensivi, nuovi fondamentalismi. In tanti si sentono aggrediti e spaesati di fronte a nuovi vicini e a un mondo troppo grande. Chi è spaesato ha paura del presente e del futuro; e chiede alle religioni protezione. Ne nascono fondamentalismi di vario tipo.
Sono semplificazioni che possono affascinare giovani, disperati, gente confusa per cui la società odierna è troppo complessa e inospitale, ma che pure possono attrarre politici spregiudicati alla ricerca di scorciatoie per il potere. E i fondamentalismi hanno il marchio dell'odio, se non della lotta al diverso religiosamente o etnicamente.
Forse, in passato, i mondi religiosi si potevano ignorare. Oggi invece la mutua ignoranza conduce rapidamente all'inasprimento. Responsabili religiosi isolati si trovano facilmente intrappolati in orizzonti nazionalisti. L'universalità propria delle diverse tradizioni religiose si esprime proprio nel contatto e nel dialogo.
E per tutto questo che l'avvenimento del 27 ottobre 1986 non è rimasto un fatto isolato, ma ha conquistato tanti cuori in molte parti del mondo, indicando un futuro di pace e convivenza mentre ancora c'è chi parla di guerre di religione o di civiltà come destino inevitabile. Ed è probabilmente tenendo conto di questi mutamenti e sfide che Benedetto XVI ha preso l'iniziativa di convocare un nuovo incontro nella città del Serafico.
In maniera semplice e convincente, lo «Spirito di Assisi» continua a prospettarci una convivenza possibile, fatta proprio, secondo l'amata espressione di Francesco, di pace e bene. E ciò che ci aspetta dal prossimo incontro di ottobre.


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