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14 Noviembre 2014

Lavare le sofferenze e trovare la carne di Cristo

Da Caritas a Sant'Egidio, il racconto di chi serve i senza fissa dimora

 
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C'è un bisogno che va oltre la fame e la sete. È la necessità di sentirsi essere umano, parte di una società anche quando il volto nero di smog sembra voler dire altro. Chi abita la strada, sia nel centro luccicante di vetrine della città che lungo i vicoli bui di periferia, chiede perciò solo di recuperare la dignità che il marciapiede toglie. Anche solo con una doccia, una barba e vestiti puliti. «È lavare l'uomo dalle sofferenze, toccare davvero la carne di Cristo» dice Roberta Molina, responsabile del servizio accoglienza della Caritas di Roma. La straordinarietà del gesto di papa Francesco sta, secondo lei, soprattutto nel luogo, visto che «non è semplicemente chinarsi sulle ferite, ma aprire le porte di casa propria per sentire con mano l'ultimo degli ultimi». È un po' come prendersi cura di un bambino, reso fragile da un dramma familiare o lavorativo, una malattia, un destino scellerato. La pulizia della persona, infatti, significa innanzitutto «riappropriarsi della propria dimensione relazionale - spiega - rendersi adatti all'incontro con l'altro». Nei clochard romani si trova tutto questo. Lo sanno bene realtà come la Caritas di Roma che accoglie oltre 600 persone al giorno nei suoi alloggi e una cinquantina al servizio docce. Sembra tutto così scontato per chi può lavarsi ogni volta che vuole. Ma riuscire a cambiarsi d'abito quando si dorme - non certo per scelta - coperto solo dai cartoni, «è ritornare al mondo e sentirsi accudito» aggiunge ancora Molina, è riappropriarsi di sé anche quando sembri invisibile per tutti.
Non serve un evento di rottura per diventare senzatetto, gli operatori dell'accoglienza lo costatano ogni giorno. «Anche quelli che dicono di aver scelto un ponte come casa - ricorda Augusto D'Angelo, uno dei responsabili del servizio senza fissa dimora della Comunità di Sant'Egidio lo fanno per celare un fallimento, un dramma, un abbandono». Gli italiani tra i clochard sono cresciuti con la crisi, sono uomini della porta accanto finiti d'improvviso per strada esibendo un bicchiere con poche monete sotto la scritta "Dio vi benedica". C'è perciò un «messaggio inequivocabile e un'indicazione grandiosa per la Chiesa universale», continua D'Angelo, nel fare in modo che il colonnato di piazza San Pietro abbracci e «tocchi il povero». Perché l'igiene personale è l'aspetto più intimo, ma anche il più «ineludibile della dignità della persona». Nella sede di via Anicia a Trastevere, difatti, per quattro giorni a settimana 50 persone al giorno vengono curate dalla comunità fondata da Andrea Riccardi non solo con acqua, sapone, biancheria nuova e scarpe, ma anche con il parrucchiere, il dentista, l'oculista e il medico legale. Durante l'attesa, poi, cibo, riviste e l'ascolto dei volontari consentono di far sentire i senza dimora a casa.
Questo semplicemente chiedono, essere parte della comunità. L'attenzione del Pontefice l'hanno vissuta in prima persona alcune settimane fa nella chiesa romana Santissimo Redentore a Val Melaina dove, dopo una visita dell'elemosiniere del Papa, «in quattro giorni sono state costruite due docce che ci consentono di far lavare centinaia di persone a settimana». Per Roberto Fattorini, responsabile Roma della Società San Vincenzo de Paoli che gestisce una mensa nella parrocchia, il «forte aiuto e impulso di Francesco a guardare il povero e toccarlo» quando si fa l'elemosina sta mostrando i suoi frutti nell'accoglienza sui territori. Qui sempre con maggior frequenza - ripete alla fine - si stanno aprendo nuovi spazi da dedicare agli indigenti, «si sta lavorando per fare di più» e vincere l'indifferenza.


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