Un bambino rom di 4 mesi muore a Giugliano. Sembra che il decesso sia dovuto ad una crisi respiratoria seguita ad un forte raffreddamento. Una morte atroce e umanamente inaccettabile di un bambino innocente, resa ancor più insopportabile perché quel bimbo era uno di quei 275 minori che, sgomberati dal campo Asi di Giugliano il 12 aprile, vagava nella periferia nord di Napoli in cerca di ripari di fortuna. I suoi genitori, di origini slave ma nati a Giugliano, si erano accampati in una tenda alle spalle di un centro commerciale, in attesa di una migliore sistemazione. È un destino crudele che con troppa frequenza colpisce i bambini rom. Negli ultimi 20 anni 100 piccoli zingari hanno perso la vita in Italia, per le malattie, gli incendi o per altre cause, come Cristina e Violetta le due sorelline che annegarono nel luglio 2008 a Torregaveta.
La fragilità di queste vite è stata vinta dalla durezza della vita, dalla precarietà di esistenze instabili, insomma dall'essere zingari. La vita nelle baracche è molto dura, e nessuno si sogna di pensare che possa essere la sistemazione ideale, soprattutto per i bambini. Ma lo sgombero senza alternative, con la perdita di quei pochi punti di riferimento che in qualche modo accompagnano la vita di queste persone, non mi sembra la soluzione al problema. La allontana qualche centinaia di metri più in là e, talvolta, aumenta il disagio e fa perdere quei piccoli spiragli di integrazione e di stabilità. Basti pensare a quei bambini che andavano a scuola e che in seguito allo sgombero hanno abbandonatole classi.
Ma la tragica vicenda di questo bambino ci mostra quanto sia grave il problema della salute per i minori rom, soprattutto quando gli spostamenti e gli sgomberi rendono ancor più difficoltoso l'accesso all'assistenza sanitaria. I loro genitori, tanto spesso, non sanno a chi rivolgersi quando un loro bambino si ammala. E anche una banale malattia può essere fatale. D'altra parte il popolo rom è un popolo giovane, in maggioranza bambini, con una speranza di vita di 10 anni inferiore alla media dell'Ue. Quello dei rom è un problema europeo di cui le società occidentali si devono far carico cercando di superare i pregiudizi e le semplificazioni. Il Commissario dell'Ue per la Giustizia, Viviane Reding, ha affermato che i fondi per i rom ci sono, ma non vengono nemmeno richiesti dagli Stati e dagli Enti Locali per timore di politiche troppo «spinte» verso i rom. È un paradosso che in tempo di crisi economica le risorse per rendere migliore la vita dei rom vengano disperse per calcolo politico e per un preoccupante sentimento di antigitanismo che sembra crescere nelle nostre società.
Cosa fare allora per alleviare la condizione così drammatica di questi piccoli? Vorrei dare qualche segno di speranza presente nel nostro territorio cittadino. Da tre anni e mezzo la Comunità di Sant'Egidio insieme all'associazione Don Kischiotte, ha allestito un camper e un ambulatorio dove ogni settimana vengono visitati e curati gratuitamente i rom, sia bambini che adulti. È un'esperienza che vede la partecipazione attenta e scrupolosa degli adulti e che sconfigge il pregiudizio secondo cui il popolo gitano è restio ad ogni forma di collaborazione perla cura della salute. Ancora penso alle borse di studio stanziate dalla Fondazione Banco Napoli per l'infanzia e dal Banco di Napoli, per sostenere la scolarizzazione dei minori rom con il coordinamento della Comunità di Sant'Egidio. A fronte dell'erogazione di un piccolo contributo economico, i genitori dei bambini rom si sono impegnati a garantire la frequenza assidua dei propri figli a scuola, a non farli mendicare, e a fargli frequentare le attività pomeridiane messe in campo dalle scuole e dalle associazioni. Il notevole incremento della frequenza mostra che la strada intrapresa per arginare l'evasione scolastica di questi bambini sia incoraggiante. Infine il problema casa. Perché i rom in fondo sono persone che vogliono le stesse cose nostre: casa, tranquillità, lavoro. La storia del nomadismo è superata come andrebbe superata la logica dei campi. Ricordo che a Napoli la gente cessò di abitare nelle baracche nella zona del macello di Poggioreale quando, a metà degli anni 70, furono assegnate le case nel rione Ises di Secondigliano. La costruzione di case per farci abitare i rom mi sembra una prospettiva interessante. Certo a problemi complessi non si può pensare di rispondere con semplificazioni e stereotipi, ma bisogna costruire, ideare e lavorare per trovare soluzioni praticabili. Quello che è certo è il principio per cui quando vive male qualche abitante di un territorio questa condizione pesa su tutti gli altri abitanti, così come quando in una città stanno tutti bene ognuno ne trae giovamento. E soprattutto se non morirà più nessun bambino per il freddo la nostra città sarà più bella ed umana.