"Liliana aveva 13 anni quando salì sul treno per Auschwitz. Aveva capelli lunghi, neri, molto sporchi dopo due anni di arresti. Aveva con se' solo due vestiti, uno sopra l'altro". Nel Memoriale della Shoah di Milano, nelle giornate della memoria, Liliana Segre, tra i 22 superstiti dei 605 ebrei partiti da Milano con il convoglio del 30 gennaio 1944 e deportati ad Auschwitz, parla di se'.
Da anni, da prima ancora che venisse istituita la giornata della memoria, la Segre partecipa ai momenti di riflessione promossi dalla comunità di Sant'Egidio per trasmettere la sua esperienza. Ogni anno ha parlato di una persona che ha viaggiato con lei. Quest'anno parla di sè. E di sé ricorda più che altro le sensazioni di una bambina che "era sbalordita da tutto quello che stava accadendo. Una bambina che aveva un grande senso di protezione nei confronti del padre, anche lui deportato, al quale era unita da un legame speciale. Mamma era morta. E lei aveva solo lui. Lui che non è mai diventato vecchio, mentre io ho 84 anni e sono diventata un po' la nonna di me stessa".
Nella serata organizzata al Memoriale anche per dedicare il nuovo spazio Mostre a Bernardo Caprotti, il presidente della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo, lancia quasi un appello all'integrazione "che deve diventare la parola chiave di oggi. Non dobbiamo mai smettere di ricordare. La memoria è un dovere di trasmissione ai giovani perché non succeda mai più. A 70 anni dalla liberazione dei campi di sterminio bisogna ricordare perché non si indugi più su leggi razziali. Oggi va costruita una società che rifugga dal razzismo, dall'antisemitismo, dall'odio e intolleranza, dalle divisioni".
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