Venerdì la Comunità di Sant'Egidio di Pavia ha festeggiato la fine del Ramadan con una ventina di richiedenti asilo ospitati nell'albergo Italia di Gropello. «Sono tutti molto giovani, alcuni appena maggiorenni, e provengono da Mali, Gambia e Nigeria - spiega Giorgio Musso, cofondatore del gruppo pavese -. In un appartamento sono ospitate due donne somale. Le loro giornate scorrono lente e vuote, nell'attesa di una telefonata che può decidere il loro destino».
«Quante energie sprecate per l'assenza di una proposta che metta a frutto queste giovani forze - dicono i
ragazzi, tutti universitari - Alcuni frequentano la biblioteca dove una maestra insegna loro un po' di italiano. Altri si tengono in forma con qualche esercizio in un campetto vicino. Ma la maggior parte non si sente a proprio agio fuori dall'albergo. Sono timidi, poco abituati ad avere contatti amichevoli con italiani del posto. Noi ci siamo seduti assieme attorno a un tavolo, a chiacchierare di calcio e cibo, ascoltare le loro storie e i loro sogni, raccontare delle nostre e delle loro famiglie. La conoscenza è l'unico antidoto alla paura». «Nemmeno nei miei migliori sogni - ha detto Ibrahim, che è in Italia da 5 anni e lavora come interprete alla Questura di Milano - avrei potuto pensare ad una festa così bella con degli italiani».
«Non sapete quanto sia importante per noi quel che avete fatto stasera», gli ha fatto eco Fall, ferito a un occhio e a una gamba dalle violenze subite nel corso del viaggio. «Vi aspettiamo», dicono. «I loro racconti parlano di vite normali sconvolte dalla guerra, ad esempio in Mali - racconta un altro studente - Oppure di giovani che non hanno visto un futuro davanti a sé, la possibilità di sposarsi, mettere su una casa, e allora hanno deciso per il grande viaggio. E non è quello che faremmo tutti, o quasi, se fossimo nati dall'altra parte del mare?».
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