Si è svolto a Roma questa mattina, a Palazzo Altieri, il Colloquio promosso dalla Comunità di Sant'Egidio sul tema: "Italia e Romania: partnership, crescita e futuro in Europa".
Il convegno, a cui ha partecipato un pubblico numeroso e attento, è stato aperto dal saluto di Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, e dell'ambasciatore di Romania in Italia, Razvan Rusu.
Dopo l'intervento introduttivo di Andrea Riccardi, alcuni rappresentanti istituzionali del governo romeno, tra cui Cristian David, ministro dell’Interno e delle Riforme Amministrative, Constantin Ciupagea, Consigliere di Stato del Primo Ministro per i problemi economici, e Dana Varga, Consigliere personale del Primo Ministro per il problema dei rom, hanno auspicato il rafforzamento di una proficua collaborazione tra Italia e Romania.
Nel corso del Colloquio si è infatti evidenziato come esista tra i due stati una fitta rete di rapporti e di scambi non solo economici ma culturali che aprono a interessanti prospettive di cooperazione.
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Riportiamo l'intervento del prof. Andrea Riccardi:
Perché la Comunità di Sant’Egidio ha voluto con molta decisione questa giornata sui rapporti tra l’Italia e la Romania? Voglio dire subito le mie e le nostre ragioni, che si uniscono al ringraziamento per la partecipazione di tanti a questo evento. Le nostre ragioni, rispetto a quelle della politica o dell’economia, possono sembrare quelle della poesia: quindi inattuali o poco realiste. Ma abbiamo sentito, nell’anno trascorso, forti stonature per quello che riguardava il rapporto tra Italia e Romania e, anche, tra italiani e romeni. Fatti tragici, come l’assassinio a Roma di Giovanna Reggiani, una donna meravigliosa, per mano di un romeno, il crescente senso di insicurezza nelle nostre città, hanno alimentato uno sguardo preoccupato verso i romeni in Italia: quasi che questo paese si stesse rovesciando con l’emigrazione in Italia o i suoi cittadini fossero un elemento destabilizzante.
Parlo di percezioni. Ma in un tempo mutevole, sensibile come il nostro, le percezioni diventano sentimento diffuso. Secondo me, poi, queste percezioni vanno capite nella loro giusta misura. Non abbiamo capito, registrato, come quello che avveniva tra Italia e Romania richiedeva ben di più di qualche allarme, ma una vera cultura. Sta avvenendo un incontro di massa, in profondità, tra due popoli, di cui abbiamo relativa coscienza. Circa 800.000-850.000 romeni lavorano in Italia; più di 100.000 italiani operanti in Romania con 800.000 romeni impiegati in imprese a capitale italiano o misto (24.477, che portano l’Italia al primo posto tra gli investitori stranieri). Un collegamento incredibile di voli aerei: 325 tra i due paesi alla settimana. Lavoro, turismo, scambi. Nel 2007 è avvenuto un interscambio di 11,49 miliardi di euro (con un incremento dell’investimento italiano del 50% rispetto al 2006). Non è solo immigrazione o investimenti. E’ un fenomeno complesso e largo. Si tratta di un incontro di massa tra italiani e romeni, un incrocio di interessi e di uomini, inedito nella storia dei due paesi, che non hanno coltivato mai una relazione speciale, nonostante stagioni di vicinanza.Ci sono percezioni italiane sui romeni e percezioni romene sugli italiani.
Non abbiamo ancora la cultura capace di rappresentare in modo completo questo incontro: insomma una riflessione ponderata di che cosa rappresenti veramente nella realtà italiana e romena. In Italia si sa poco o niente del paese romeno, se non la storia della sua liberazione dal comunismo. Scarsa è l’esperienza italiana della Romania. Ben più intenso è stato il rapporto –almeno d’élite- tra Romania e Francia. Eppure oggi romeni e italiani si incontrano tanto: c’è bisogno di un forte salto culturale che relativizzi le percezioni e le inserisca in un quadro solido di conoscenza meditata e reciproca. E’ il motivo di questa giornata di studio: aggiornare la nostra cultura allo stadio attuale delle relazioni tra i due popoli e le due economie, che è molto ricco. Italia e Romania si sono incontrate o scontrate assai poco nella storia, ma oggi hanno un presente in comune. Ci vuole cultura, perché tale presente non sia un episodio confuso, ma diventi futuro.
La Romania ha la storia di un paese che si è trovato in un crocevia storico e geografico, subendo invasioni, annessioni, sopraffazioni dai vicini più forti. Emil Cioran parla di una Romania che non si è mai affacciata, con una sua identità, alla cultura universale, restandone un po’ fuori come un paese minore: “lo scontento davanti al nostro destino e alla nostra condizione non superano mai una forma approssimativa di un atteggiamento scettico”. Eliade ha parlato di un terrore romeno della grande storia. Un paese che nei secoli è stato più volte aggredito… Eliade, ricordando le continue invasioni, iniziate nel II secolo e continuate sino al XVIII, con vuoti storici, enigmi, ha osservato come i romeni hanno creato l’arte, per il momento, tanto non poteva durare. D’altro canto, in questa particolare condizione, la cultura romena ha mostrato la sua capacità di resistenza della gente e la sua grandezza nella partecipazione all’identità romena. Prova ne sarebbe che intellettuali romeni, giovani tra le due guerre, come Cioran, Ionescu, Eliade, sono diventati grandi, dopo la guerra, andando all’estero e scrivendo in francese. Per diventare grandi bisognava andar fuori e scrivere in un’altra lingua? La sottrazione brutale della Romania dalla storia e dalla cultura è però avvenuta recentemente, dopo gli anni fervidi tra le due guerre, con il comunismo, sino a Ceaucescu, che ha chiuso il paese in una condizione insulare.
Non sono passati vent’anni dalla fine di quella condizione crudele e paradossale. Niente nella storia di un popolo e nella mentalità delle persone. Oggi la Romania si trova in una condizione nuova e unica nella sua storia: non più l’isola folle di Ceaucescu, non più il paese sbattuto tra i marosi di russi, turchi, slavi, a rischio di perdersi in una storia troppo grande. Oggi la Romania può essere se stessa con la sua identità, ma non è sola nell’essere tale. E’ in Europa, saldamente ancorata in un panorama politico e istituzionale. Ciò le consente di avere un’identità e di essere parte di un insieme. Non c’è contraddizione, come spesso è avvenuto nella storia romena: talvolta bisognava difendere l’identità fino ad essere soli.Del resto, è chiaro che, nel prossimo decennio, la nostra condizione di paesi europei, di taglia media o piccola, si scontrerà sempre più con i giganti asiatici: avremo bisogno di essere insieme per sopravvivere come economia, lingua, identità. Ma l’Europa non è solo Bruxelles, qualcosa che sembra appartenerci poco.
L’Europa è l’incontro tra i popoli, le iniziative, le opportunità. Ci sono partnership, amicizie e collaborazioni, da costruire in modo bilaterale. E’ il caso di Italia e Romania. Qui il senso di questa giornata.Ci sono elementi antichi e prossimi che possono costruire un alfabeto utile a parlarci e a farci sentire meno estranei. Un primo alfabeto si trova nella lingua neolatina, nella romanità dei romani. Non è retorica. Sono elementi preziosi nell’età della globalizzazione che schiaccia le identità e dei popoli fa un fascio di individui-consumatori. La romanità dei romeni –basta conoscere la Romania- è un elemento di simpatia (per molti italiani insospettata) verso l’Italia e Roma, che viene dall’antico, che viene dal Risorgimento nazionale romeno, che affonda le radici nel quotidiano. E’ la romanità che fa la differenza dei romeni in mezzo agli slavi e fra gli ortodossi. E’ l’unica romanità non perduta nel mondo dell’Est. La romanità fa la differenza nell’area geografica e sta scritta dentro la lingua. Sta scritta, tra l’altro, anche nell’idea nazionale e in quel Risorgimento che si sviluppa parallelo al nostro. Del resto la Romania ha conosciuto un’emigrazione italiana fin dall’Ottocento: più del 10% degli immigrati veneti in questo secolo sono andati in Romania, tanto che nel 1927 ce n’erano 20.00-25.000, ma quelli stimati, forse meno stabili, erano circa 60.000.
Oggi gli italiani di Romania sono circa tremila ed hanno lo statuto di minoranza e un deputato alla Camera. Sono elementi remoti e inutili? Non tanto, in un mondo dove si sta riscoprendo l’orgoglio delle idee nazionali; ma in Europa non lo si può riscoprire contro… Stiamo anzi attenti a non innescare reazioni inconsulte… Sono elementi di identità nazionale e di un alfabeto comune tra italiani e romeni. Mi sembra che, al di là delle difficoltà, c’è un modello di incontro tra popoli europei che possiamo realizzare, di cui esiste già l’intelaiatura economica e strutturale. C’è questa realtà di scambio, che rende particolare il rapporto tra i due paesi: i romeni vengono a lavorare in Italia e gli italiani operano in Romania: condizione che differenzia la nostra realtà dalla gran parte dei paesi di emigrazione. C’è uno scambio reale.In Italia –come è noto- c’è una domanda di mano d’opera e un vuoto demografico: i romeni sono venuti, dopo il 1991, prima gli uomini e poi le donne (prezioso il lavoro di assistenza a anziani e minori della donne).
Dal 2007, con l’ingresso nella Unione Europea, nonostante qualche punta, non si è verificata un’invasione e si sta assistendo a ritorni o a un’emigrazione temporanea. I romeni sono al primo posto tra gli stranieri acquirenti di case (il 19% nel 2006). Ben 115.000 romeni sono nati in Italia e l’espansione dei matrimoni misti è costante. La capacità di integrazione (dovuta alla lingua, alla fede cristiana, al carattere nazionale) è fuori di dubbio. Lavoriamo su questa idea di cittadinanza europea; facciamo emergere il lavoro in nero per regolarizzarlo; sviluppiamo le potenzialità della presenza romena.I romeni possono compiere entrambi i percorsi: integrarsi facilmente o ritornare nel loro paese, il che favorisce che non avvenga ghettizzazione di minoranze immigrate con effetti negativi. Cero i fenomeni migratori si accompagno a difficoltà: i detenuti romeni sono il 5% della popolazione carceraria italiana (circa lo 0,3% dei romeni, compresi i non residenti). Ma –nel 1908, anno di punta dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti-, secondo Gian Antonio Stella, i detenuti italiani erano il 14,4% degli immigrati italiani.
Sono convinto che, per ridurre le difficoltà, per valorizzare le potenzialità, per creare un vero incontro, positivo per entrambe le parti, bisogna investire sulla cultura della stima e dell’affinità. Saremo in grado di affrontare le difficoltà del presente, se saremo capaci di inviare un messaggio positivo, europeo, realista. Stiamo vivendo un incontro storico, umano e economico, tra due antichi paesi latini, due nazioni europee vicine e lontane allo stesso tempo, che è un capitolo importante del futuro dei nostri paesi! Questo si sa troppo poco in Italia e poco in Europa. E su questo dobbiamo lavorare!
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