DAL NOSTRO INVIATO A MONACO DI BAVIERA LUIGI GENINAZZI
Nella memoria della tragedia si sono ritrovati insieme uomini di tutte le fedi. Oltre trecento leaders delle religioni di tutto il mondo hanno celebrato il decennale dell'11 settembre sull'antica Marstallplaz, nel centro del capoluogo bavarese. Una cerimonia suggestiva e commovente che ha segnato l'inizio del Convegno internazionale per la Pace promosso dalla Comunità di Sant'Egidio.
Come a Ground Zero il rintocco di una campana ha dato avvio alle commemorazioni. Ma se a New York, non senza qualche polemica, i leaders religiosi non sono stati invitati, qui a Monaco gli esponenti di tutte le fedi — cristiani, musulmani, ebrei, buddisti, scintoisti ed altri ancora — hanno voluto far sentire in modo corale il loro no al terrorismo. «Come rappresentati delle religioni vogliamo contrapporci decisamente ad ogni tipo di violenza, soprattutto quella che abusa del nome di Dio» dice l'arcivescovo di Monaco, cardinale Reinhard Marx, che prende per primo la parola con voce grave. Un concetto che sarà ripreso subito dopo dal presidente della Repubblica federale tedesca, Christian Wulff, in prima fila alla cerimonia. «Nessuna religione può essere rappresentata come una licenza per uccidere», sottolinea.
Musiche e canti struggenti, anche in arabo, si alternano alle testimonianze in collegamento video da Ground Zero. Si brucia incenso per le vittime, un gesto di preghiera che accomuna tutti. I ricordi scavano la ferita del dolore ma qui vibra anche una speranza coraggiosa. «Dà a noi la possibilità di risorgere, facci trovare nuove vie» è l'invocazione a Dio che si alza dalla piazza nell'inno finale della pace.
A dieci anni dall'attacco alla Torri Gemelle «c'è bisogno di una svolta». Lo afferma il professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, aprendo i lavori del summit. Riprende un'osservazione fatta dal cardinale Marx secondo cui «sembra che il decennio trascorso dal 2001 sia stato dissipato senza cercare risposte più alte, abituandoci troppo agli scenari di guerra e alla retorica della contrapposizione». Ecco allora, dice Riccardi, che «dobbiamo porre con rinnovata forza il problema della pace. Non come vuota retorica ma come necessità di gente diversa che vive vicino». Le risorse ci sono, le indicò venticinque anni fa Giovanni Paolo II convocando ad Assisi i rappresentanti delle diverse fedi da tutto il mondo. E, in continuità ideale con quello storico evento, Benedetto XVI compirà lo stesso gesto il prossimo mese di ottobre, nell'anniversario esatto dell'incontro. L'ha voluto ricordare lo stesso Papa nel messaggio che ha inviato all'arcivescovo di Monaco in occasione dell'apertura del Convegno Mondiale per la Pace. Un testo molto significativo. Non poche parole di circostanza, ma una densa e puntuale riflessione del Pontefice-teologo sul legame essenziale tra religione e pace. «Se la religione fallisce l'incontro con Dio, se abbassa Dio a sè invece di elevare noi verso di lui, allora si dissolve la pace», dice Benedetto XVI che non manca di notare come «anche nel cristianesimo, ci sono state distorsioni pratiche dell'immagine di Dio». Ricorda che «la pace non può essere semplicemente fatta ma è donata..., per questo è necessaria la comune testimonianza di tutti coloro che cercano Dio con cuore puro».
E un'indicazione di lavoro per il convegno «Destinati a vivere insieme» in corso qui a Monaco dove vengono affrontati i temi-chiave del mondo contemporaneo e della convivenza civile. Più di trenta tavole rotonde che sono iniziate ieri e proseguiranno per tutta la giornata di oggi. Particolare attenzione viene data alle primavere arabe ed alla situazione in Libia. «Tripoli è stata liberata per più del 70 %» ha dichiarato il responsabile degli affari internazionali del Cnt libico, Fathi Mohammed Baja che ha riaffermato l'impegno del nuovo governo a combattere il fondamentalismo islamico e a organizzare il più presto possibile elezioni libere.
Ma per quanto riguarda Gheddafi non la pensa come l'Europa: «Prima vogliamo processarlo noi per quanto ha fatto in 42 annidi dittatura, poi la Corte internazionale dell'Aja potrà giudicarlo per i crimini commessi dal rais dopo l'insurrezione di febbraio».