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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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12 Settembre 2011 09:00 | Residenz München, Plenarsaal der Bayerischen Akademie der Wissenschaften

La primavera araba: l'Egitto di Mina Fouad


Mina Fouad


Giornalista, Egitto

Signore e signori,

Sono molto onorato di prendere la parola in questa autorevole conferenza; vorrei essere con voi di persona, ma purtroppo non mi è stato possibile. Vengo dall’Egitto come copto per dire come ci sentiamo in quanto egiziani e in quanto minoranza dinnanzi alla grande rivoluzione egiziana che ha sorpreso il mondo.

Posso assicurarvi che ogni singolo egiziano è molto felice che abbia avuto luogo la rivoluzione, sarebbe dovuta avvenire già da molto tempo. Dal 1923 l’Egitto è stato un paese liberale, fino al colpo di stato militare del luglio 1953, che ha messo fine all’Egitto liberale e ha inaugurato un periodo di instabilità mai concluso fino ad oggi.

I Copti hanno cominciato a soffrire come minoranza a partire da questo periodo di instabilità che ha avuto ripercussioni sulla loro vita fin dal primo momento.

Per descrivere l’atteggiamento dei Copti nei confronti della rivoluzione svilupperò i seguenti punti:

1. La definizione di rivoluzione egiziana
2. La posizione dei Copti
3. Un po’di storia

1.    La definizione di rivoluzione egiziana

Jeff Godwin (professore di sociologia alla New York University) ci fornisce la definizione di rivoluzione: “Le rivoluzioni implicano non solo una mobilitazione di massa e un cambio di regime, ma un essenziale cambiamento sociale, economico e/o culturale in tempi più o meno rapidi, durante o subito dopo la lotta per il potere.”

È ciò che accaduto in Egitto? Io non credo. In Egitto ci si è solo liberati di un regime, finora non ne abbiamo costruito uno nuovo, né tutti i partiti politici sono d’accordo su quale tipo di governo ci dovrebbe essere. Inoltre non ci sono stati cambiamenti di ordine sociale, economico e culturale.

Si parla sempre di regime corrotto, ma ci si dimentica deliberatamente che anche la società è corrotta. Se vogliamo sradicare il sistema con tutti i suoi simboli una volta per tutte, dobbiamo partire dalla liberazione della società dalla corruzione orami connaturata nella mentalità e la crisi che ne è alla base. Poiché,  se questa rivoluzione ci libera dal sistema senza sfuggire alla corruzione della società e alla crisi che affligge la coscienza egiziana, il prossimo regime sarà peggiore.

Quello che sta avvenendo ora è caos, e il caos è il maggior pericolo non quando permane sulle strade, ma quando prende le menti: io credo che ora dovremmo fare una campagna per salvare la coscienza degli egiziani dal caos che la cattura e la tormenta. La crisi è iniziata nella mentalità degli egiziani molto tempo fa, ma ora si manifesta nelle modalità più estese. Qualcuno mi ha chiesto: “Nerone (cioè Mubarak) quando fuggirà dall’Egitto?”. Ho replicato: “Quando la mentalità egiziana fuggirà dalla sua crisi”.

La maggioranza delle menti degli Egiziani ora è controllata da gruppi radicali islamici. Basta digitare “Salafi” (Movimento Salafista) o “Muslim brethrens” (Fratelli Musulmani) e si trova un’enorme massa di media che incitano alla violenza, all’odio e al rifiuto dell’altro e radicalizzano le coscienze. Vi invito a fare questa ricerca su You Tube e su Google a casa e a vedere coi vostri occhi.

Ora, come avete sentito dalle notizie, in Aresh, nel Sinai, alcuni gruppi jihadisti vogliono proclamare l’Egitto emirato islamico. Anche due mesi dopo la rivoluzione il governatorato di Qena, nell’alto Egitto, è stato dichiarato l’emirato islamico, ma dopo una settimana l’esercito ha controllato la situazione. E ancora venerdì 29 luglio, i movimenti islamici hanno dimostrato a piazza Tahrir reggendo la bandiera dell’Arabia Saudita e gridando: “Obama…Obama… noi tutti siamo Osama!” (cioè Bin Laden). E questo accanto all’appello a trasformare l’Egitto in un paese a fondamento religioso e all’applicazione della Sharia.  Qui il problema non è la Sharia in sé, ma come questi gruppi la vogliano applicare.

Finora la rivoluzione non è stata altro che la liberazione da alcune persone del regime egiziano; essa non è ancora completata. Così io credo che sia troppo presto per stabilire se sia stata una rivoluzione riuscita o no.
2.    L’opinione dei Copti:

Innanzitutto, dobbiamo distinguere tra la posizione ufficiale dei vertici della Chiesa e quella dei fedeli copti.
La posizione copta nei confronti della rivoluzione ha avuto tre stadi: una prima fase di cautela e di attesa, e quest’atteggiamento è iniziato il 25 gennaio ed ha impiegato circa una settimana a modificarsi. I copti temevano di ribellarsi a Mubarak perché se la rivoluzione fosse fallita sapevano che sarebbero stati quelli che avrebbero sofferto di più.

La seconda fase è stata quella di accoglienza e partecipazione. Quando i copti hanno realizzato che la rivoluzione stava avvenendo, si sono precipitati a piazza Tahrir per venire in soccorso dei loro fratelli egiziani, non solo la gente comune ma anche il clero e i vertici della Chiesa si sono uniti ai dimostranti, e questa fase è proseguita fino a due settimane dopo le dimissioni di Mubarak. Tuttavia dobbiamo ammettere che se è vero che molti cristiani hanno preso parte alla rivoluzione dal primo giorno, il 25 di gennaio, non si trattava della maggioranza.

La terza fase ha avuto inizio dopo due settimane dalle dimissioni di Mubarak ed è l’attuale posizione: quella di paura e di un tirarsi indietro. Quando i gruppi radicali islamici hanno cominciato a prendere il controllo di piazza Tahrir e delle strade, tutto è cambiato, sono cominciati a sorgere discorsi radicali e discriminatori, a diffondersi nelle strade la chiamata ad un regime islamico. Sono iniziati di nuovo gli attacchi contro i copti e le Chiese, ma questa volta non da un ristretto numero di persone ma da migliaia, per esempio l’attacco e l’incendio della chiesa a Embaba in Giza, Cairo il 7 maggio, quando in migliaia hanno attaccato e bruciato la chiesa con un bilancio di quattro morti.

I copti erano contenti quando è scoppiata la rivoluzione, ma poi hanno cominciato a capire che era come una nube impalpabile che appare per poco per poi dissolversi. Ora temono per il prossimo futuro, ci sarà un regime islamico? O sarà un regime militare? I copti credono che un regime militare non sarà meglio di Mubarak ma sarebbe sempre meglio di un regime islamico.
Il futuro delle minoranze in Egitto è davvero poco chiaro, confuso, e intendo per minoranze non solo i copti ma anche i Baha’i, gli atei ecc. Il discorso portato avanti dal gruppo islamico nei media non è affatto promettente e mostra un futuro veramente brutto per queste minoranze.

Come possiamo vedere la posizione ufficiale dei vertici ecclesiastici è molto diversa da quella dei copti nelle strade, i vertici ecclesiastici, incluso il Papa, stanno cercando di mantenere l’equilibrio non attaccando gli islamisti e non attaccando nessun altro gruppo di modo che qualsiasi gruppo prenderà il potere non attaccherà la Chiesa.

Dunque, per concludere, è presto per decidere se la rivoluzione abbia avuto un esito positivo.

3.    Un po’ di storia:
 La posizione dei copti non viene dal nulla, ma dalla storia di sofferenza che hanno sperimentato.

Gli osservatori della situazione dei copti e le organizzazioni dei diritti umani affermano che i copti si sono ritirati secoli fa da una partecipazione culturale, comunitaria e politica.

Questa situazione ha origini antiche, sin dalla conquista arabo-mussulmana dell’Egitto nel 7° sec, quando i mussulmani erano il gruppo dominante e i copti un gruppo subordinato. Con lo status di “ dhimmi” (zhimmi), attivo fino alla metà del XIX sec. , i copti, in quanto “popolo del Libro”soggetto a protezione, hanno sperimentato molti cambiamenti con la comunità mussulmana, si sono alternati pochi periodi di tolleranza a numerosi periodi di persecuzione.

Il rapporto tra le comunità mussulmana e copta in Egitto chiaramente è molto complesso e sfaccettato, con radici profonde nella storia passata, con problemi moderni espressi in un linguaggio tradizionale.

Nell’era moderna, in particolar modo dopo il colpo di stato militare del 1953, le azioni discriminatorie contro i copti si sono cominciate ad insinuare nella società, particolarmente dopo la nascita di gruppi radicali islamici come i Fratelli Mussulmani.

Attacchi regolari contro i copti hanno avuto luogo fin dagli anni ’70 e sono continuati attraverso tutto il periodo di Mubarak. E’ stato ed è tutt’ora molto difficile per i copti costruire o riparare chiese o addirittura riparare un bagno dentro una chiesa.

Inoltre, quando i copti venivano attaccati il governo rimaneva passivo e si asteneva da ogni tipo di intervento o azione. Raramente la polizia arrivava sulla scena in tempo e solo pochi autori degli attacchi venivano processati o puniti. Le giustificazioni per gli attacchi pullulavano: una disputa all’interno di un villaggio, un contendere tra due mercanti, i copti hanno rapito (o violentato) una giovane mussulmana. Attaccare i cristiani era divenuto la normalità.

Dal 1970 fino al 2010 sono avvenuti più di 250 attacchi contro i copti e le chiese, con più di 327 copti uccisi. Nessuno è stato imprigionato o processato per questi avvenimenti, e gli autori di queste violenze sono tutt’ora ignoti. Certamente dopo il 2010 molti altri incidenti hanno avuto luogo come la bomba nella chiesa di Alessandria, dove ci sono stati  più di 21 morti e centinaia di feriti e l’attacco alla chiesa a Nagh Hammadi e l’uccisione dei fedeli che uscivano dalla chiesa il primo giorno dell’anno.

Permettetemi di fornirvi di alcuni dati dettagliati, e potrete controllare su internet se sto esagerando. Nel giugno del 1981, in un distretto chiamato El Zawyah El Hamrah, al Cairo, i cristiani vennero attaccati e 81 di loro vennero uccisi. Nessuno è stato preso o accusato per averli uccisi. Nel 1982 nel villaggio di El Manshyia in Asiut nell’Alto Egitto, 14 cristiani furono attaccati ed uccisi. Nel 1994 il monastero Saint Mary a El Maharaq nell’Alto Egitto furono attaccati e uccisi 5 monaci. Nel 1998 e nel 2000 il villaggio di El Kosh in Sohag, nell’Alto Egitto, è stato attaccato per due volte con il massacro e l’uccisione di 21 cristiani e l’incendio delle loro case. Nessuno è stato preso o accusato per aver fatto questo.
Ogni volta che i cristiani sono stati uccisi da gruppi radicali, gli assassini non sono mai stati presi.

Dopo la rivoluzione e il sorgere di gruppi radicali gli attacchi contro i cristiani sono cresciuti rapidamente, per esempio l’incendio della chiesa a marzo ad Atfih, la chiesa di San Mina e di San Giorgio è stata attaccata, bruciata e demolita, si possono vedere i video di questa vicenda su Youtube, poi è venuto l’incendio della chiesa di Imbabah, gli attacchi alla chiesa di Ein Shams e molti altri  ( circa 6 altri attacchi), si può cercare su Youtube e Google queste notizie e video.

Anche quando i copti hanno dimostrato a Masbero di fronte all’edificio della televisione nazionale, sono stati attaccati a Masbero e a El  Moqatam.

Questo spiega perché i cristiani hanno paura e perché hanno iniziato ad essere molto prudenti nell’accogliere la rivoluzione, dopo che hanno scoperto che i gruppi radicali islamici controllano le strade e l’Egitto, invece di divenire un paese liberale e laico, va divenendo uno stato confessionale.

Speriamo di poter fare qualcosa insieme ai mussulmani liberali e moderati, per salvare l’Egitto dai radicali.



Messaggio
di Papa  Benedetto XVI


Incontro di dialogo tra le religioni, Monaco di Baviera 2011


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