Fuori dalla basilica dell’Annunziata sono arrivati in tanti, invitati dalla Comunità di Sant’Egidio. La liturgia eucaristica in ricordo delle persone senza fissa dimora, morte in questi anni a causa della durezza della vita per strada, ha raccolto molte persone: italiani, nuovi europei, giovani, anziani, donne, bambini. Come una grande famiglia, hanno ricordato i 165 nomi di chi è morto negli ultimi anni a Genova. A causa del freddo, della malattia, della violenza, di un fuoco acceso per riscaldarsi che si è poi trasformato in una trappola micidiale.
Il primo nome è stato quello di Pietro Magliocco, conosciuto dalla Comunità di Sant’Egidio durante la distribuzione della cena a chi vive per strada. Pietro dormiva nella stazione di Sampierdarena: da vari giorni malato di polmonite, è morto la notte stessa del suo ricovero in ospedale. Era l’11 febbraio 1993. Aveva 57 anni. «Sono passati più di vent’anni – ricorda Paola Bergamini, che con la Comunità genovese da anni è amica di tanti senza dimora – e abbiamo visto tanto dolore per strada. Eppure questo ricordo è una consolazione per tutti, soprattutto per chi resta, perché sente di non essere solo e che ci sarà qualcuno che ricorderà anche lui. Non è solo un momento celebrativo, ma un evento pubblico per parlare ad una città in cui la vita dei poveri è spesso molto dura. Ripetere i loro nomi, raccontare le loro storie è un modo per strapparli dall’invisibilità e metterli per una volta al centro, restituendo loro la dignità di persone e, appunto, di amici».
Tanti si avvicinano all’altare e accendono una candela, sotto l'icona con il Volto Santo di Gesù. Si ricorda Babu, morto sotto il Carlo Felice nel dicembre 2008, ma anche la piccola Marina, neonata rom morta di freddo sul greto del torrente Bisagno nel 1997, e il giovane Brusli – ragazzo rom della Romania di 14 anni – morto nell'incendio della sua roulotte nel 2002. A Genova, a fronte di qualche centinaio di senza dimora ospitati da strutture pubbliche o private, ci sono ancora molte persone che stanno trascorrendo l’inverno all’aperto, in ricoveri di fortuna. A questi bisogna aggiungere anche decine di rom romeni, tra cui anche alcuni anziani che vivono in baracche. A Genova quello della casa è un problema serio e da tempo si sta cercando una soluzione che possa aiutare e dare dignità a tanti. «Dio non dimentica il nome di chi è povero ed esposto al pericolo: anzi, mette il nome dei poveri sulle nostre labbra» ha ricordato nell’omelia don Jorge Lopez, sacerdote salvadoregno che ha celebrato la liturgia.
Al termine tutti hanno poi partecipato ad un pranzo, continuando insieme una giornata speciale di memoria e solidarieta.
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