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24 Juin 2012

Andrea Riccardi :«Torniamo a Cooperare»

 
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 «In Italia ci sono centinaia di migliaia di bambini figli di extracomunitari di prima o di seconda generazione che pensano il loro futuro qui, in Italia. Possiamo noi non riconoscerlo?». Nel suo infinito viaggiare da un capo all'altro dell'Italia, con frequenti incursioni all'estero, il ministro della Cooperazione, dell'Integrazione e della Famiglia Andrea Riccardi parla di solidarietà, accoglienza, integrazione, segnando sempre di più il fossato con il precedente Governo, quello degli sbarchi e del reato di clandestinità. E, soprattutto, non si rassegna alla mancanza di una legge che dia cittadinanza a circa 700 mila minori di origine extracomunitaria. «Il premier Monti me lo ha detto fin dal primo giorno che pur condividendo l'opinione ribadita anche dal capo dello Stato, non poteva permettersi il rischio di scompaginare la maggioranza. Ma abbiamo anche detto fin dall'inizio che è il Parlamento che deve prendere l'iniziativa».

Il Centrodestra è contrario. Ci sono a Montecitorio i numeri per una legge?

«Diciamo che tra i parlamentari del Centrodestra ho trovato dei no, ma ho sentito anche dei sì. Ora qualcosa si sta muovendo. Vedremo. Per me è qualcosa di necessario, da attuare, prima o poi».

Dopo l'approvazione del Piano nazionale della Famiglia che prevede fondi per nuovi asili nido e per l'assistenza domiciliare agli anziani non autosufficienti,ilForum delle associazioni familiari riconosce che si fa qualcosa di concreto, ma teme che non si abbia la capacità di inserire la famiglia nelle priorità di questo Governo.

«Il problema è, soprattutto, di cultura politica. Sta cambiando una certa visione. Fina mente la famiglia viene riconosciuta come soggetto centrale nell'azione di governo e degli enti locali, per cui ogni volta che bisogna legiferare ci si deve chiedere: e la famiglia?».

Quali sono le altre priorità?

«La ripresa della cooperazione. Il nostro è un Paese vecchio, ripiegato su sé stesso, che ha paura del mondo. E quindi anche le sue imprese non vanno all'estero, perché la cooperazione è parallela all'estroversione del sistema Italia. Le altre priorità che mi stanno a cuore sono i processi di integrazione. Io sto lavorando tanto su questo».

Eppure,il mondo della cooperazione si lamenta delle ristrettezze dei finanziamenti e dei tagli a questo settore.

«Questo Governo è alle prese con una grande penuria di fondi. Io mi batto affinché i fondi non vengano diminuiti ma anche implementati con l'aiuto dei privati: la cooperazione non è solo un fatto di Governo. Noi abbiamo una visione un po' troppo statalista. La cooperazione deve essere un fatto di imprese, di privato, di società. È la scelta del nostro Paese che si gioca nella globalizzazione. Conosco bene l'Africa e vedo che ci sono spazi di solidarietà, di responsabilità, ma anche di lavoro per gli italiani. Quando vado dai presidenti africani questi spesso mi chiedono imprese e lavoro italiani. Nel mondo c'è un bisogno e una domanda di Italia che è incredibile».

C'è anche una tradizione di imprese italiane che lavorano in Africa.

«Sempre meno. Fanno fatica a tenere il passo. Negli ultimi anni l'Africa è cambiata. L'Africa è un continente di grandi miserie ma anche di ricchezze e di opportunità».

C'è un problema di competitività?

«In Africa continuano a investire la Corea del Sud e i Paesi del Bric: Brasile, Russia, India e Cina. Ma c'è spazio per tutti. Il problema dell'Italia non è la concorrenza, ma la ritrosia. Ci tiriamo indietro troppo spesso. In questo senso per me cooperazione è aiutare, fare solidarietà, ma anche far entrare in contatto il sistema Paese con altri sistemi, i sistemi del mondo. Sono molto preoccupato per quello che avviene nella fascia del Sahel. Temo che diventi un piccolo Afghanistan. Per questo Niger, Burkina rientrano nella cooperazione italiana. Tra l'altro, per contrastare i mercanti di esseri umani che lavorano nel Sahara, il Niger è strategico».

Che ne pensa di quel che sta avvenendo in Grecia? Pensa che il Paese ce la farà a rimanere nell'Eurozona?

«La Grecia ce la farà, deve farcela. Siamo in un periodo di globalizzazione spinta e abbiamo di fronte il ridimensionamento dell'Europa. Ma un'Europa rimpicciolita è un'Europa spaventata. Questo è il grande problema . Oggi il Vecchio Continente rischia di rattrappirsi. Per questo il processo di unificazione europea è importante. Molti dicono: questa Europa non mi piace. Giovanni Paolo II diceva: noi dobbiamo stare in Europa per portare le nostre idee e i nostri valori. E per trasformare questa Unione europea. Se anche i greci hanno commesso alcuni errori, la logica di famiglia vuol dire stare insieme con noi».

Il Governo in questa fase politica sembra un po' smarrito. Il premier Monti dice che ha perso l'appoggio dei poteri forti.

«Questo Governo sta facendo un grande lavoro. Ha imposto grossi sacrifici, ma eravamo sull'orlo della crisi. Certo l'Italia ha ripreso dignità nella famiglia delle Nazioni, lo sento quando vado in giro e questo mi rende orgoglioso. Quanto ai poteri forti, il discorso è complicato. I poteri forti nel mondo sono molto complessi. Quando De Gasperi parlava di poteri forti alludeva a un'altra cosa rispetto a oggi. I poteri forti sono molto più diffusi e globali nella nostra epoca: i grandi centri di potere finanziario, le lobby internazionali, le multinazionali».

Il suo ministero è stato visto come il segno di una rinnovata presenza dei cattolici in politica.C'è qualcosa che si muove dall'assise di Todi in poi?

«Non credo all'espressione ministri di Todi e nemmeno a quella di ministri cattolici. Però credo che nella crisi del nostro Paese il cattolicesimo rappresenti una risorsa. Dalla cultura politica dei cattolici potrà arrivare tanto. Anche se oggi io penso che la Chiesa deve affrontare con rinnovato vigore la sfida di comunicare il Vangelo, poiché non ha una posizione di rendita di fronte ai processi di secolarizzazione e di disgregazione delle società in cui svolge la sua missione».


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