ROMA. Sente un po' di nostalgia per la comunità di Sant'Egidio, a cui non ha molto tempo da dedicare, però il lavoro parlamentare gli piace molto mentre, al contrario, non lo appassionano le questioni del gruppo. Mario Marazziti, eletto con Scelta civica, è una matricola della Camera, anche se ha fatto molta politica. «Penso - dice - che il 60% dei parlamentari fa parte del partito che vorrebbe fare cose utili al Paese, però, tutte queste persone, sotto il cappello dei partiti, diventano minoranza». Si diverte a ricordare l'occupazione grillina dell'aula del Mappamondo, quando era in corso la commissione speciale: «Chiesi al presidente di smentire l'occupazione, visto che i nostri lavori non si erano interrotti e i deputati M5S erano nel pieno diritto di stare». Il suo «fare cose utili» si concentra sul tema dei migranti: la legge sulla cittadinanza, che «è bene sia di iniziativa parlamentare, per sollevare il governo da una questione che non è nelle urgenze del programma». La questione degli sbarchi.
Nella informativa del governo Angelino Alfano ha affermato che l'incremento degli sbarchi ha origine nelle instabilità politiche. È d'accordo?
«Ho molto apprezzato il cambiamento di registro, finalmente è stato abbandonato il linguaggio del disprezzo. Quello che ha detto il ministro è giustissimo, i 60.000 sbarchi del 2011 corrispondono alle Primavere arabe, negli sbarchi di quest'anno cominciano ad arrivare i siriani. Dal mare arriva chi scappa dalle guerre, eritrei, somali, Mali. Nel 2011 arrivavano pakistani e bangladeshi che lavoravano in Libia. È un problema strutturale che non ha nulla a che vedere con la migrazione economica. Alfano ha usato una espressione molto efficace: Lampedusa è il Check Point Charlie, l'ingresso al mondo libero dal Sud del Mediterraneo».
Come gestire questo Check Point?
«Ho proposto due cose, la prima è fare di Lampedusa una frontiera di accoglienza europea, ci vuole una governance europea del problema dei perseguitati. La seconda è volta a ridurre le tragedie e a contrastare i trafficanti. Sono 19.000 le morti accertate nei viaggi della speranza, 3000 delle quali, soltanto nel 2011, nel Canale di Sicilia. A questi numeri va aggiunto quello degli scomparsi, di cui non si è mai saputo più nulla. La mia proposta è creare un corridoio umanitario internazionale, un tratto pattugliato, così che chi fugge sappia che può passare di lì».
La cittadinanza. Il progetto del Pd si basa sullo Ius soli, la proposta di Scelta civica sullo Ius culturae, ma perché un bambino nato in Italia deve dimostrare di essere italiano?
«La nostra proposta non è solo Ius culturale, nella sua prima parte è uno Ius soli temperato. Si prevede che sia italiano chi nasce in Italia, se uno dei due genitori è regolarmente nel paese da cinque anni. Questo dovrebbe tranquillizzare chi teme che si venga a partorire qui. Inoltre, anche chi non è nato in Italia può diventare italiano, compiuto il ciclo della scuola dell'obbligo o acquisito un titolo di studio o professionale, nel periodo fra i 18 e i 21 anni. Questo dovrebbe tranquillizzare chi teme una perdita di identità: la cittadinanza si acquista in forza dell'attrazione della cultura italiana, è così che è nata l'Italia, sulla base di un patto di volontà e di cultura. Il 71% degli italiani, secondo l'ultimo «Studio Elettorale», è d'accordo sulla cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia».
Il problema dei figli richiama quello di padri e madri che restano stranieri.
«Dobbiamo adeguare la nostra legislazione agli standard europei. Oggi il tempo medio per avere la cittadinanza italiana è 15 anni (10 per legge più gli anni per espletare le pratiche). Secondo noi si deve ridurre a cinque gli anni e si devono rivedere i vincoli di reddito, ci sono giovani laureati, figli di immigrati diventati italiani, che non hanno le condizioni di reddito. Su 4 milioni e mezzo di immigrati stabili in Italia, di cui 2 milioni con permesso a tempo indeterminato, nel 2010 le cittadinanze sono state 65.000. È un processo troppo lento e, ora, fra difficoltà economiche e burocratiche stiamo perdendo - perché se ne vanno - gli stranieri integrati, che producono un nono del Pil e danno allo Stato, fra tasse e tributi, sette miliardi e mezzo l'anno».
Sembra che in Scelta civica ci siano venti di scissione. Cosa ne pensa?
«Penso che il problema sia quel 50% di elettori che non vota e che il problema dei partiti sia nell'offerta politica che, evidentemente, non è adeguata. Ci vuole una casa più grande per un mondo popolare, cattolico, sociale, umanista, liberale e egualitario. Per fare questo non mi pare si possa partire da una scissione».
Jolanda Bufalini
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