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Credere La Gioia della Fede

24 Settembre 2014

Eventi

La festa dei nonni insieme con il Papa

Il 28 settembre, in piazza San Pietro, il Papa incontra i nonni e gli anziani di tutto il mondo. In vista di questo evento, ecco l'esperienza della Comunità di Sant'Egidio

 
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«Quant'è buona quell'alleanza che qui vedo tra giovani e anziani in cui tutti ricevono e donano! Un popolo che non custodisce i suoi anziani, che non si prende cura dei suoi giovani, è un popolo senza futuro, un popolo senza speranza». Con queste parole il Papa si è rivolto alla Comunità di Sant'Egidio durante la sua visita nella sede di Roma, lo scorso giugno, nella parrocchia di Santa Maria in Trastevere.
In ogni città in cui è presente, dall'Africa all'Europa, la Comunità lavora per costruire quest'alleanza. Feste con balli e tombole, visite nelle case e negli istituti per anziani, scambi di regali, ricordi nelle preghiere: ecco la ricetta giusta.
Al Papa l'aveva raccontata Francesca, 12 anni, di Tor Bella Monaca, periferia romana difficile: «Io ho fatto amicizia con gli anziani di una casa di riposo vicino alla mia scuola. Molti non hanno mai nessuno che li vada a trovare, e nessuno che li chiami per nome! Nelle stanze non ci sono scritti i nomi sui letti ma solo dei numeri. Un anziano una volta mi ha detto: "Ricordati di me, io sono il 43." Alcuni anziani non parlavano, fissavano il vuoto, all'inizio mi facevano quasi paura, mi sembravano come morti. Ma quando stiamo insieme, il loro sorriso mí dice che sono tornati alla vita!».
Poco prima di lei, aveva parlato Irma, 90 anni: «Oggi sono una persona fragile, ho bisogno di essere accompagnata e aiutata, non posso più andare dove voglio, come un tempo. Ma non sento questo come una condanna. Ho imparato che la vera condanna, a ogni età, è dover camminare da soli nella vita». Parlando della sua amicizia con i giovani, aggiunge: «Mí accompagnano e io accompagno loro: quando non sanno bene come fare, do qualche consiglio da nonna, o meglio... da bisnonna! L`età della vecchiaia non è l`età dello scarto».
È purtroppo la storia di tanti anziani che finiscono in istituti troppo spesso segnati dalla solitudine. Spiega Riccardo Mauri, responsabile dei servizi di Sant'Egidio con gli anziani a Milano: «Lasciato solo, l'anziano muore: si ricorda il passato lontano e non quello recente perché tutti dicono che i tuoi giorni non servono, non sono utili. Meglio allora rifugiarsi nei ricordi di quando eri accettato perché servivi». Eppure, la vecchiaia è una realtà ineludibile: «Tutti dobbiamo essere consapevoli del "naufragio" cui va incontro inevitabilmente la nostra vita. Ma la vecchiaia non è soltanto sinonimo di declino e il naufragio può divenire un approdo. Gli anziani - e la Chiesa lo ha sempre riconosciuto - hanno un valore profetico per l'umanità, in quanto sono i primi a dire che non tutto è consumo, che la vita non è consumare».
L`esperienza di Sant'Egidio è proprio nel segno della "risurrezione" di tante persone in là con gli anni, che hanno trovato un nuovo senso alla loro vita nell'amore e nello scambio umano con persone più giovani: così il tempo che passa non è più una maledizione ma un dono di Dio. È il miracolo di una novità inattesa. «Siete le nipoti che non ho mai avuto», ripete spesso Teresina, 96 anni, alle bambine della Scuola della Pace, il doposcuola di Sant'Egidio, che tutti i mesi vanno a trovarla in un istituto della periferia milanese.
Aggiunge Riccardo Mauri: «Talvolta ci chiamano con i nomi dei figli: sul piano logico è un segno di confusione, su quello affettivo è sentire rinascere un affetto antico che sembrava perduto».
Anche per i giovani quest`amicizia ha un grande valore educativo. Racconta Samuel, 13 anni: «Quando la mia amica anziana Anita è stata male, avevo paura che morisse. Ho pregato tanto per lei. E quando è stata meglio, ero talmente felice che l'ho abbracciata così forte, che quasi le facevo mancare il respiro! E allora ho capito che non siamo noi che diamo qualcosa agli anziani, perché riceviamo moltissimo da loro. Ci raccontano spesso della loro vita, di quando in Italia c'era la guerra e gli immigrati venivano dal Sud. Sono la nostra memoria: noi giovani abbiamo bisogno di loro».
Quest'alleanza speciale ricrea famiglia per chi non ha più famiglia. Per gli anziani, soli per mille motivi, ma anche per i giovani che magari non hanno i nonni vicino a casa. Vale per molti figli di immigrati che hanno i nonni nei Paesi di origine. Samuel, per esempio, era cresciuto con la nonna fino 5 anni fa; poi aveva raggiunto i genitori emigrati a Milano, lasciando però in Romania un legame importante.
Tra i bambini e gli adolescenti che Sant'Egidio accompagna negli istituti, tanti sono italiani e stranieri cresciuti in quartieri difficili o famiglie povere. Addirittura, molti - come Samuel - sono rom che vivono in baracche. Rom che aiutano i nostri anziani, chi l'avrebbe mai detto? Eppure, «nessuno è così piccolo o così povero da non poter aiutare gli altri», spiegano a Sant'Egidio. Aiutare gli altri dà dignità e crea un sentimento inclusivo di appartenenza.
C'è una storia che è forse l`icona dell'alleanza a cui ci invita papa Francesco. La racconta Georgel, 11 anni,
che, dopo anni di sgomberi e baraccopoli, ora vive in casa: «Stiamo aiutando la signora Anna, che è italiana e sta per compiere 83 anni. La tragedia di questa signora è che ha perso tutta la sua famiglia. Noí l'abbiamo conosciuta perché abitava al piano sotto di noi e ogni sera veniva a guardare le telenovele con noi: così è diventata una specie di nonna. Quando è morto suo figlio, ha perso la casa perché non aveva pagato l'affitto.
Noi allora abbiamo deciso di non lasciarla sola. L'abbiamo invitata a casa nostra e le abbiamo  offerto un letto in cui dormire; vive con noi da 6 mesi. A volte è un po' difficile aiutare la signora Anna, ma poi ci siamo abituati a lei, e lei a noi, e infatti lei a volte ci fa dei regali per dire che siamo come í suoi nipoti».
Aggiunge Georgel: «È come una catena: noi rom di Sant'Egidio siamo stati aiutati dalla Comunità ad andare a scuola, conoscere il mondo, vivere in casa e non per strada. Adesso anche noi possiamo aiutare altri». Anna, da parte sua, mi dice con gli occhi lucidi: «Tre volte al giorno, dopo l'Eterno Riposo per mio figlio, prego per Georgel e per la mia famiglia adottiva».
Ecco un'altra ricchezza di questa alleanza: la "forza debole" della preghiera degli anziani, che - sempre il Papa - ha chiamato «la prima opera».


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