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29 Settembre 2014

Papa Francesco a Poggioreale, lezione di umiltà

 
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 Quando Jorge Mario Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires si recava molto spesso nel carcere di Devoto, situato al centro della capitale argentina. Tanti ricordano le visite a sorpresa, come quella del 26 dicembre del 2006 quando andò  senza preavviso e celebrò la messa di Natale. Poi se ne tornava in arcivescovado con il “colectivo”, il pulmino che a prezzi popolari offre un servizio di taxi. 
Una volta, uno dei detenuti che stava lì per rapina a mano armata, gli chiese: “come dobbiamo chiamarla? Vescovo o cardinale?”.  “Né vescovo né cardinale – rispose - chiamami padre, come dite al sacerdote del carcere”. 
L’incontro di papa Francesco con i carcerati napoletani, quando verrà in città la  prossima primavera, sarà come quello di un padre che va a trovare i suoi figli che si sono perduti nelle maglie della delinquenza,  nel dedalo dei vicoli dell’illegalità. Una visita forse insperata ma sicuramente invocata ed attesa da tanti detenuti che fin dagli inizi del suo pontificato  lo hanno visto come una persona semplice e vicina alle loro sofferenze . Alcuni gli hanno scritto delle lettere e mostrano con orgoglio le sue risposte che sostengono  chi vive un periodo difficile della vita e incitano a non scoraggiarsi e chiudersi,  una parola buona per tutti. “Il Signore è un maestro di reinserimento” ha detto il papa qualche mese fa durante il suo incontro con i detenuti del carcere di Castrovillari, “che prende per mano e riporta nella comunità sociale”. Mai condanna. Mai perdona soltanto, ma perdona e nello stesso tempo accompagna.
D’altra parte Bergoglio ha ripetuto più volte che la Chiesa deve essere come un ospedale da campo, vicina alla gente ferita e ammalata, nel corpo e nell’anima. Per questo l’opera dei preti e dei volontari è un sostegno concreto, “un’opera di misericordia che rende visibile la vicinanza di Gesù nelle celle”, come ha detto nel discorso inviato ai cappellani delle carceri italiane. 
Un atteggiamento diametralmente opposto a quello dei dottori della legge di ieri e di oggi, una parte dell’opinione pubblica sempre pronta a giudicare e castigare, che ritiene che l’esecuzione della pena debba essere fondamentalmente uno strumento di sola punizione e ritorsione sociale.
E’ il rapporto  personale la chiave attraverso cui papa Francesco si fa vicino ai carcerati e ai poveri. Nel carcere di Buenos Aires ascoltava tutti i detenuti, uno per uno, beveva il  mate, la tradizionale bevanda argentina e poi celebrava la messa.  Il cappellano della prigione di Devoto ricorda che spesso riceveva sue telefonate: “parla Bergoglio, ho bisogno che tu vada a trovare una ragazzo che è carcerato”. E dopo gli chiedeva di raccontargli come lo avesse trovato. Ancora oggi,  alcune domeniche pomeriggio, telefona al carcere di Buenos Aires per fare una chiacchierata con qualche detenuto che conosce da tempo.
Il giovedì santo, poche settimane dopo la sua elezione si recò nel carcere minorile di Castel del Marmo per la lavanda dei piedi, non fece grandi affermazioni o lunghi discorsi, ma si chinò ai piedi di quei giovani reclusi, e li guardò negli occhi. 
Papa Francesco probabilmente pranzerà con i detenuti della casa circondariale “Giuseppe Salvia - Poggioreale”, una periferia esistenziale al centro della città di Napoli. La sua visita è come una benedizione per sostenere quel cambiamento che l’istituto di pena ha intrapreso da alcuni mesi, e potrà dare speranza e   coraggio   ai detenuti e a chi opera per il loro reinserimento nella società.

 


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