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5 Ottobre 2014

Lampedusa

L'ultima preghiera: "Mai più stragi"

I superstiti del naufragio del 3 ottobre scorso uniti ancora una volta al Giardino della memoria. Sale la protesta tra gli isolani: saremo dimenticati

 
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All'improvviso il cielo si è aperto e un cono di luce è sceso sul Giardino della memoria. È stato come riemergere dal buio: le cupe nubi del temporale, giunta l'ora del tramonto, si sono poi allontanate, perdendosi nel mare. Molti l'hanno visto così, quel raggio di sole inaspettato, come il saluto che Lampedusa ha voluto offrire ai suoi ospiti speciali, radunati per un'ultima preghiera di suffragio e in forma più raccolta, intima, prima di lasciare l'isola e tornarsene nelle nazioni nordiche che li hanno accolti come figli nuovi.
Ancora una preghiera, ancora una benedizione portata dal reverendo eritreo ortodosso Tadese Fesehatsion Mehari. E ancora giovani mani che raccolgono sassolini e la terra di questa isola alla periferia del mondo, che ha dispensato morte e vita la notte di un anno fa, quella del 3 ottobre 2013, che inghiottì 366 tra madri, mariti, fidanzati, fratelli, figli, compagni di sventura, eritrei, ma anche etiopici e siriani. E tanti bambini.
Trecentosessantasei piantine, ognuna con un piccolo cuore di plastica, «per non dimenticare». Si sono dati appuntamento proprio lì, nel Giardino della memoria, i sopravvissuti tornati a Lampedusa. E lo hanno fatto anche come gesto per dire basta alla infinita strage di chi muore di speranza.
È sorprendente il senso di religiosità che emerge da questa gente. E l'attaccamento che dimostrano nel valore della preghiera è alto, e quando il reverendo Tadese, nella lingua tigrina, si rivolge al gruppo di ragazzi e ragazze, che nella vita di adesso sono soli, invitandoli alla «castità intellettuale e morale, se volete che la gente vi rispetti, e non fatevi ingannare dalle nuove tentazioni di un mondo che ancora non conoscete, perché l'eritreo sa donare e non prendere», loro ascoltano invocando la Vergine, la Trinità, san Michele, san Gabriele, a cui affidano «la pace dei nostri morti e la serenità ai loro famigliari».
Maria Quinto, della Comunità di Sant'Egidio, è a Lampedusa con il gruppo "Genti di pace", che raccoglie altri immigrati e rifugiati provenienti da vari Paesi del mondo, e cittadini italiani e europei. Tutti insieme lavorano per la pace. Come Daud, che ha lasciato l'Afghanistan affrontando un viaggio drammatico su altre frontiere della migrazione. «I componenti del gruppo, impegnando parte delle loro vacanze sono già stati a Lampedusa, in passato, per incontrare le persone che arrivano qui accolte nel Centro di accoglienza e adesso sono qui per solidarietà con gli eritrei - spiega Maria Quinto -. Vogliono testimoniare che è possibile vivere insieme, che è possibile l'integrazione. Sono cristiani e musulmani, e anche questo, in questo tempo, è una testimonianza importante».
La preghiera "Morire di speranza" che è stata officiata in memoria dei morti del naufragio è la testimonianza di un desiderio di memoria chiesto, negli anni, da molti rifugiati. «Per ricordare i loro amici morti. Per non dimenticare nessuno. Anche quelli di cui non si conoscono i nomi. Che sono tanti. E cadono su frontiere di cui non ci arrivano immagini, come per esempio quelli che muoiono nei viaggi del deserto - prosegue Maria Quinto -.  Non dimenticare. Essere vicini. Commuoversi, perché dalla commozione del cuore nasce anche l'intelligenza di trovare nuove soluzioni. Una delle cose che mi colpì appena arrivata a Lampedusa lo scorso anno, oltre alla sofferenza grandissima dei sopravvissuti, fu lo strazio di questi corpi che venivano ripescati dal mare». Una settimana intera a recuperare salme. «Ricordo con commozione la prima preghiera che abbiamo fatto con i superstiti accanto alle bare di chi non c'era più e tutti avevano una richiesta: pregare insieme. Per placare il dolore. E' nata una solidarietà che da allora si è cementata fortissima. Nata nel dolore. Pensare che a volte non riusciamo a parlarci. Perché io non parlo tigrino. Loro non parlano italiano e alcuni neanche inglese. Adesso impareranno un'altra lingua e dunque non abbiamo una linea di comunicazione, ma c'è un sentimento forte comunque, per avere vissuto insieme questo dolore. Perché anche nel dolore può nascere una amicizia. Consolati dalle parole della Bibbia. Rachele che piange i suoi figli».
Ma Lampedusa torna a scaldarsi, dopo una stagione turistica dimezzata del 50 per cento con, dicono gli albergatori, 25mila presenze in meno e con sempre i soliti problemi che gravano sulla vita dell'isola e della sua gente. La prossima settimana è previsto uno sciopero generale per «dare un forte segnale sia interno che a Roma e le sue passerelle politiche». La paura è che con la fine della missione "Mare nostrum", l'isola torni ad essere una piattaforma militare e di immigrazione.


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