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4 Giugno 2012

Riccardi: Welfare e famiglia: pochi fondi per due urgenze

 
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«La famiglia va riportata al centro della politica» e va ripensato il welfare coinvolgendo volontariato e cooperazione. Andrea Riccardi, ministro per laCooperazione internazionale e l'integrazione, è reduce dall'incontro mondiale della Famiglia voluto dal Papa. Soldi a disposizione per immaginare significativi interventi a sostegno non ce ne sono, ma per Riccardi è importante la rinnovata attenzione che, grazie anche alla crisi economica, c'è sulla famiglia.

Ancora una volta è proprio la famiglia a fungere da «ammortizzatore sociale». Un ruolo di supplenza, però, sempre più difficile e faticoso.

Ministro, grande successo della Giornata Mondiale della Famiglia, ma ora?

«Il governo italiano è grato al Papa perché ha voluto tenere questa giornata a Milano. Abbiamo visto un volto spesso trascurato di Milano, grande capitale europea, che ha ospitato una profonda riflessione sulla famiglia e, oserei dire, sull'uomo con presenze internazionali ed europee molto significative. Una grande mobilitazione, di livello, della chiesa di Milano attorno al Papa e al cardinal Scola».

Si, ma adesso che farà il governo per aiutare le famiglie?

«Non credo possa esserci una consequenzialità meccanica. Non è stata una manifestazione sindacale di rivendicazione. Si è trattato di una manifestazione di cultura popolare attorno ad una grande idea».

Quale?

«La nostra società deve riscoprire una cultura familiare. Siamo in un tempo dove non solo nel nostro Paese si sono fatte poche cose in favore della famiglia, ma si è esaltato l'individuo in modo disgiunto dai legami».

Ora invece con la crisi cambia tutto?

«Siamo in una società globalizzata dove ognuno si è illuso di poter far da solo, ma non è così. Occorre rilanciare una politica familiare che è cultura del legame e della vita. E' il momento di riprendere a fare una politica per la famiglia. L'errore che è stato fatto sinora è stato quello di considerare la famiglia come qualcosa che sta in piedi da sè e che non ha bisogno di politiche».

Perché allora non cominciate voi ad investire sulla famiglia?

«Siamo in un momento di vacche magre ed è difficile recuperare ciò che non è stato fatto sinora. Comunque, pur con le note ristrettezze di bilancio, questo governo ha stanziato cento milioni per anziani e asili nido e, con lo stesso obiettivo, 700 milioni, presi dai fondi europei, sono stati dirottati al Sud. La famiglia nei momenti di crisi è il grande ammortizzatore sociale».

Sì, ma ora non ne può più

«Certamente, basta guardare il problema degli anziani e l'ingiustizia che si perpetra ai loro danni quando vengono costretti ad essere assistiti fuori casa».

Ma il quoziente familiare che fine ha fatto?

«Da parte mia l'ho sempre auspicato, ma mi rendo conto che in questo momento sarebbe senza copertura finanziaria. Servirebbe infatti una cifra tra i 17 e i 20 miliardi di euro».

Dobbiamo quindi rassegnarci a famiglie sempre più piccole, con un solo figlio e anziani a carico?

«Stiamo lavorando per mettere in atto provvedimenti di conciliazione tra lavoro femminile e vita familiare. Questo sarà un punto importante sul quale impegnarsi ancora. Senza contare che nuove emergenze stanno mettendo in crisi la famiglia rendendola più fragile».

Quali?

«Il gioco d'azzardo. Ho ricevuto in queste settimane delle lettere che mi hanno commosso. Su questo tema siamo intervenuti con il ministro Balduzzi. L'altro problema è legato al sostegno che va dato alle famiglie affinché restino aperte alla vita, ma non siano poi costrette a sostenere gli assurdi costi che hanno i prodotti per l'infanzia. Trovo paradossale ciò che accade in Italia. Dal primo luglio le farmacie comunali, che ringrazio per la sensibilità mostrata, su impulso mio e dell'Anci, ridurranno i prezzi dei prodotti per l'infanzia del 30%. In questo nostro strano Paese le famiglie che possono vanno a comprare i pannolini in Svizzera o Slovenia perché da noi costano troppo. Mi sembra un'assurdità».

Scusi, ma non pensa che la crisi dei debiti sovrani, compreso il nostro, renderà difficile immaginare ancora per molto tempo nuove politiche di welfare?

«Qui occorre fare una vera e propria battaglia culturale per permettere che pubblico e privato possano lavorare insieme. Lo stato non può tutto e c'è una sussidiarietà della società civile che si deve esprimere in modo molto concreto. Gli stati generali della cooperazione che faremo a settembre a Milano, hanno lo scopo di spingere la collettività ad aprirsi e ad investire sulle dimensioni sociali».

Questo individualismo di cui lei parla e con il quale affrontiamo la globalizzazione, si ritrova a suo giudizio anche nei comportamenti solitari dei singoli stati europei?

«Questo è un tema che mi tocca molto e credo che i nostri problemi derivino anche dalla difficoltà a pensare ad un destino comune dell'Europa. L'individualismo, quando si fa politica, diventa egoismo. L'Europa deve salvare se stessa e salvare una civiltà. Capisco che chiediamo qualcosa di più ai nostri amici tedeschi, ma l'Europa è un bene di tutti».

Un errore quindi cancellare le radici cristiane dell'Europa?

«Assolutamente sì. Ho sempre sostenuto che nella costituzione europea occorresse mettere un riferimento alle radici cristiane e uno ad Auschwitz. L'Europa è nata perché Auschwitz non avvenga più».

Pensa che qualcuno se lo sia dimenticato?

«Ieri l'altro sono stato molto colpito, visitando le zone terremotate, dall'incontro con i ragazzi di Mirandola. Oggi sarò a Brindisi per incontrare altri giovani, quelli che hanno vissuto la tragedia dell'attentato. La mamma di Biagio, l'operaio morto a ventiquattro anni in fabbrica a Mirandola, mi ha raccontato che il figlio le diceva sempre: mamma non ho paura di morire, ma ho paura della solitudine. Mi sembra un messaggio molto saggio e molto grande. Noi dobbiamo aiutare le famiglie a non sentirsi sole con i propri fardelli. Occorre metterle in rete con altre famiglie e con un circuito istituzionale associativo. Le famiglie non vanno lasciate sole. Dobbiamo riscoprire la gioia di una civiltà familiare che renderebbe anche meno grigie le nostre periferie anonime».

 


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