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5 Giugno 2012

Un saggio di Roberto Zuccolini e Roberto Pietrolucci sulla vicenda del ministro e martire cristiano assassinato per aver predicato la pace

«Siamo tutti pachistani». E Shahbaz Bhatti firmò la sua condanna

Essendo un uomo di dialogo, aveva conosciuto e frequentava la Comunità di Sant'Egidio

 
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Un volto, quasi sempre, dice tutto di una persona. Ne racconta l'entu­siasmo o il cronico pessimismo, la generosità o la meschinità, il coraggio o la vigliaccheria. Shahbaz Bhatti aveva sovraimpressi sui lineamenti del viso e sul suo sorriso quasi infantile l'amore per gli altri e la  fiducia nell'uomo.

Da cristiano vero e tolle­rante conosceva tutti i sentieri della com­prensione, dell'amicizia, della condivisio­ne dei valori, pur nella diversità delle opi­nioni. Per questa ragione nel suo tribola­to Paese, il Pakistan, terra di straordina­rie passioni,di grandi ingiustizie e di de­siderio diffuso di solidarietà, questo gio­vane colto e generoso, aveva saputo scala­re i gradini sociali, pròponendosi come il battistrada di un sereno confronto con tutti, senza frontiere nè steccati.

Diventato, e poi riconfermato mini­stro per le Minoranze, nonostante le resi­stenze degli elementi meno docili e dialo­ganti della stragrande maggioranza isla­mica, aveva sostenuto con rocciosa con­vinzione i diritti di ciascuno. I suoi migliori amici erano proprio i musulmani, che erano rimasti folgorati dalla passio­ne con cui Bhatti, non ancora ventenne, aveva lottato per bloccare il progetto di legge che imponeva di specificare, sulla carta d'identità, la propria confessione re­ligiosa. «Siamo tutti pachistani», diceva con foga. E proprio il suo indomabile co­raggio l'aveva aiutato ad imporsi nella vi­ta politica quotidiana del suo Paese.

Essendo un uomo di dialogo, aveva co­nosciuto e frequentava la Comunità di Sant'Egidio. Come ricorda Andrea Riccar­di, fondatore della Comunità e ministro per la Cooperazione e l'integrazione,«Shahbaz lottava per liberare i cristiani del Pakistan dalla paura, dall'umiliazione e dalla marginalità, senza mai cercare lo scontro». L'anno scorso, a settembre, sa­rebbe stato indubbiamente fra i protago­nisti dell'incontro di Sant'Egidio a Mona­co di Baviera. Ma a quell'appuntamento in Germania Shahbaz Bhatti non è mai ar­rivato. Perché nel marzo precedente, mentre concordava con gli amici italiani progetti di collaboraziòne, una mano as­sassina l'ha ammazzato, in una strada di Islamabad.

Il ministro, che aveva 42 anni, era diretto al lavoro e pochi minuti prima aveva parlato al telefono  con gli inviati in Pakistan della Comunità di Sant'Egidio. Anzi, aveva aggiunto, dobbiamo vederci subito. «Vi mando un sms per dirvi l'ora. Tra poco sarò in ufficio». Gli amici han­no atteso l'sms invano.  Al posto dell'inno­cente e quasi scontato messaggino di conferma, è arrivato il frastuono di una vecchia radio che annunciava come pri­ma notizia l'assassinio del ministro per le Minoranze. Ucciso per strada. Nessuno aveva pensato di proteggerlo con una scorta, tuttavia è probabile che lui stesso l'avrebbe rifiutata. 

Nel ricordo di quest'uomo esemplare, che alcuni hanno paragonato a Gandhi e altri a Martin Luther King. Roberto Zucca­lini e Roberto Pietrolucci hanno scritto un bel libro, che ha come titolo, sempli­cemente, il nome del ministro, e ha un sottotitolo che spiega: Vita e martirio di un cristiano in Pakistan. Il volume (Edi­zioni Paoline, pp.176, 14), impreziosito dalla prefazione di Andrea Riccardi, è davvero un testo completo.

Oltre la crona­ca di un delitto quasi annunciato (e rivendicato da un gruppo terrorista islamico), gli autori raccontano la biografia di que­sto pachistano limpido e verticale, che combatteva con le armi della fede e del rispetto degli altri, collocando poi, con ef­ficacia, la storia della vittima nel conte­ sto storico di un Paese importante, strate­gicamente delicatissimo e soprattutto in cerca di pace. Colpisce un pensiero di Bhatti, che in sostanza è il suo testamen­to spirituale, e che si coniuga con la cor­sa solidale ad aiutare il Pakistan, quando fu colpito dal terremoto: «Credo che i cri­stiani del mondo, che hanno teso le ma­ni ai musulmani del mio Paese colpiti dalla tragedia, abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d'amore, di comprensione e di tolleranza tra le due religioni». Que­sto era Bhatti, ammazzato per strada da fanatici intolleranti. Gli intolleranti,  da sempre e dappertutto, hanno come nemi­co giurato chi crede fermamente nel dia­logo.


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