ROMA- No alla violenza del regime e dei ribelli, sì a una immediata soluzione politica che faccia uscire la Siria dalla sua drammatica spirale di violenza. È l`appello di 17 importanti esponenti dell`opposizione siriana scaturito ieri da un`iniziativa della Comunità di Sant'Egidio a Roma. L`appello è stato firmato
da ben 11 sigle di opposizione e della società civile che operano in Siria (tra cui il Consiglio di Coordinamento Nazionale, il Forum Democratico e la Coalizione Watan) e che, raggruppando diversità religiose ed etniche, hanno un dogmain comune: «Le armi non sono la soluzione». Sì, invece, a una transizione politica, concertata fra regime e opposizioni.
Il messaggio è chiaro: sia le truppe di Assad che l`Esercito Siriano Libero e le bande più estremiste devono deporre immediatamente le armi per avviare un negoziato pacifico. «Non è una terza via» precisa il presidente della comunità di Sant`Egidio, Marco Impagliazzo, «bensì la volontà della "maggioranza senza voce" del popolo siriano». L`appello si basa sulla salvaguardia «dell`equilibrio della convivenza» delle varie anime della Siria, oggi minacciato dalla dilagante violenza nel Paese. Ma come arrivare a un accordo simile dopo il fallimento del piano Annan? Secondo Abdulaziz al Khayer, fondatore del Consiglio di Coordinamento Nazionale, le opposizioni sono pronte a un dialogo con il regime, «ma senza coloro che si sono sporcati le mani di sangue». «Fondamentale», secondo Al
Khayer, «sarà il ruolo della Russia»: «se convincesse Assad a lasciare», dice Michel Kilo, uno dei più famosi intellettuali e dissidenti cristiani in Siria, «sarebbe la svolta».
Tutti, da Kilo allo storico avversario del regime, Haytam Manna, fino a Samir Aita, direttore di LeMonde Diplomatique in arabo, concordano su un altro punto: il Consiglio Nazionale della Siria, l`organo delle opposizioni all`estero, «non rappresenta il popolo siriano e non ha il diritto di chiedere interventi militari stranieri o permettere l`ingresso di armi nel Paese».
Un governo di transizione che «metta fine alla tragedia» è anche la soluzione indicata dal ministro degli Esteri Giulio Terzi, a colloquio ieri al Ca io con il presidente egiziano Morsi.