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30 September 2015

L'intervista a Marco Impagliazzo. «Ma Barcellona rinunci all'indipendenza: via dalla Spagna significherebbe fuori dall'Unione»

Madrid ha snobbato le richieste catalane, adesso tenda la mano

La Catalogna sente di avere una storia alle spalle, per questo rivendica autonomia

 
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Per lo storico Marco Impagliazzo, presidente della Comunità Sant'Egidio, la Catalogna uscita dalle elezioni amministrative di domenica scorsa, di fatto considerate un referendum per l'indipendenza, è di fronte a un bivio: «Se Artur Mas e gli altri componenti del suo partito autonomista vincitore alle elezioni proseguiranno sulla strada dell'autonomia amministrativa è un bene. Non sarebbe invece positivo percorrere la via del nazionalismo».
La crisi dell'Europa favorisce o attenua i movimenti indipendentisti?
«Il problema è che siamo nel tempo della globalizzazione e nella globalizzazione è difficile orientarsi. Viviamo in un mondo vasto e complesso. Assistiamo a grandi fenomeni di migrazione e fenomeni di ripiegamento, di chiusura, di paura di un mondo più grande.Questa è una reazione dei singoli, ma anche degli Stati. Pensiamo all'Ungheria che si spaventa dei rifugiati e innalza muri. Non tenendo conto che, come dice il Papa, quando si alzano i muri, i muri prima o poi cadono».
Il caso della Catalogna o della Scozia possono essere assimilati alla paura delle migrazioni?
«Il caso della Catalogna e della Scozia sono casi più generali di regioni che sentono di avere una loro autonomia fiscale, culturale e finanziaria. Sentono di avere una storia alle spalle. Si deve però evitare di passare dal regionalismo al nazionalismo. Fu il grande dramma del secolo che ci siamo lasciati alle spalle, la grande malattia dell'Europa che ha provocato tante conseguenze nefaste. Penso ai Balcani, al nazionalismo turco che ha portato alla strage degli armeni, il primo genocidio della storia, e degli altri cristiani».
Secondo lei a Barcellona prevalgono pulsioni nazionaliste o regionaliste?
«Dipende da chi interpreta queste pulsioni. Io credo che i catalani non siano stati abbastanza ascoltati da Madrid nelle loro istanze autonomistiche. Il problema della Catalogna però è rispetto all'Europa, più che rispetto alla Spagna. Diventare indipendenti significa porsi fuori dall'Unione, dall'euro, da Schengen? Se è così sarebbe un grave indebolimento. Credo invece che i catalani comprendano che la soluzione dei problemi dell'Europa passi per l'integrazione. E senza l'Europa realtà piccole non ce la possono fare».
Il problema è solo europeo?
«No, è un problema mondiale. La vera sfida è proprio questa. In America Latina si sta cercando di arrivare a un'integrazione del subcontinente americano, con gravissimi ritardi. Ritardi che hanno indebolito lo sviluppo dei Paesi. In Medio Oriente assistiamo a Paesi omogenei dal punto di vista religioso, ma senza un disegno comune, così che si fanno la guerra l'uno contro l'altro. Penso ad Arabia Saudita e Siria, o alla divisione dei Paesi arabi, o a quel che sta accadendo in Libia».
I problemi di Barcellona sembrano soprattutto di misura fiscale, di ge-stione dei trasferimenti e delle proprie tasse.
«Non solo questo: c'è anche un problema culturale molto legato al tema della lingua, che non è valorizzata dal governo centrale di Madrid. Problemi che si possono risolvere se Madrid dimostra di avere una certa sensibilità e se la Catalogna ha un progetto che matura in un contesto europeo».
In Italia la nostra forza autonomista principale, la Lega Nord,è passata da spinte regionaliste e autonomiste a un progetto opposto,di stampo lepeniano, vicino al nazionalismo (basti pensare all'alleanza con Fratelli d'Italia).
«Nella Lega inizialmente si è puntato a un certo regionalismo padano che però a mio parere è abbastanza inconsistente, perché l'Italia è il Paese delle cento città, non c'è una uniformità padana, c'è una grande contaminazione di popoli. Forse nel passaggio da regionalismo a nazionalismo c'è stata una visione realista: anziché insistere su un regionalismo inesistente, si è voluto passare al nazionalismo, anche per motivi elettorali. Ma anche quello leghista è un nazionalismo fuori dalla storia perché il portato della globalizzazione è quello dell'accoglienza dell'altro e del vivere insieme. Non saranno i muri ideologici e i fili spinati a frenare questa tendenza inarrestabile. Bisogna lavorare a una vera integrazione: geografica, economica e culturale».


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