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7 Settembre 2015 16:30 | Tirana International Hotel

Intervento di David Rosen



David Rosen


Già Rabbino Capo di Irlanda, AJC, Israele

Se da una parte può ritenersi corretto parlare dell'ultimo mezzo secolo come un passaggio dalla guerra fredda al mondo globalizzato, da un punto di vista religioso vi è un altro modo, più accurato, di descrivere lo stesso periodo, soprattutto nel contesto di un incontro interreligioso convocato da una realtà che fa parte della Chiesa Cattolica, e soprattutto quest'anno.

Infatti sono quasi esattamente 50 anni dalla promulgazione dello storico documento Nostra Aetate, la dichiarazione sulla relazione della Chiesa con le religioni non cristiane,  scaturita dal Concilio Vaticano II, che ha rivoluzionato l'approccio della Chiesa Cattolica verso le altre fedi. Essa ha facilitato la scoperta, o, se preferite, la riscoperta dello spirito di Francesco d'Assisi, cioè che la presenza Divina nel nostro mondo è da cercarsi nelle diverse religioni e culture, e che per essere veramente aperti alla presenza divina nel nostro mondo dobbiamo essere aperti verso questa diversità, soprattutto nella sua espressione spirituale.

Tuttavia, la promulgazione della Nostra Aetate non è stata assolutamente qualcosa di scontato. Difatti questo documento che riguarda le religioni del mondo è stato il risultato del desiderio di San Giovanni XXIII di reimpostare l'atteggiamento prevalentemente sprezzante e ostile verso la fede madre, l'ebraismo.

La storia personale di Giovanni XXIII durante la seconda guerra mondiale ha sicuramente avuto una parte importante a riguardo. Egli fu uno dei primi a sapere della implementazione della soluzione finale nazista, volta allo sterminio degli ebrei, ed egli stesso intraprese, in modo eroico, dei passi coraggiosi con i quali riuscì a salvare migliaia di ebrei dalle grinfie dei nazisti. Ciononostante, egli era dolorosamente consapevole di quanto la perversione dell'insegnamento cristiano avesse portato a commettere gravi peccati durante la shoah, l'olocausto, sia con omissioni che in maniera fattiva.

Cito le parole del documento vaticano del 1998, “Noi ricordiamo”: “Il fatto che la Shoah abbia avuto luogo in Europa, cioè in paesi di lunga civilizzazione cristiana, pone la questione della relazione tra la persecuzione nazista e gli atteggiamenti dei cristiani, lungo i secoli, nei confronti degli ebrei. ”. “le azioni dei nazisti erno facilitate dai pregiudizi antigiudaici presenti nelle menti e nei cuori di alcuni cristiani. Il sentimento antigiudaico rese forse i cristiani meno sensibili, o perfino indifferenti, alle persecuzioni lanciate contro gli ebrei dal nazionalsocialismo quando raggiunse il potere? I cristiani offrirono ogni possibile assistenza ai perseguitati, e in particolare agli ebrei?“

Noi Ricordiamo” dichiara: “Deploriamo profondamente gli errori e le colpe di questi figli e figlie della Chiesa.” Riporta poi le parole di San Giovanni Paolo II: “Per i cristiani questo pesante fardello sulla coscienza dei loro fratelli e sorelle durante l'ultima guerra mondiale deve essere un richiamo al pentimento”.

L'incontro storico di San Giovanni XXIII con lo storiografo ebreo francese Jules Isaac nel giugno del 1960, è stato un momento significativo nel percorso che fece sì che il Cardinal Bea fosse incaricato di preparare un testo per il Concilio. Come è noto, questi sforzi incontrarono una sostanziale opposizione sia sul piano teologico che politico.

Alla fine fu soltanto possibile reimpostare il rapporto della Chiesa con il giudaismo e con l'ebraismo nel contesto di un documento che affrontava più generalmente il rapporto di essa con le religioni mondiali. Il fatto in sé era indubbiamente significativo. Il rapporto tra il Popolo Ebraico e la Chiesa non soltanto ha significato per i nostri rapporti con altre fedi e popoli, ma ha anche ramificazioni profonde per quanto riguarda le nostre rispettive responsabilità universali.

In tal senso Padre Laurence Frizzel ha sostenuto che per la Chiesa, riflettere su ciò che  la “Nostra Aetate” definisce come il suo vincolo con il popolo ebraico è servito come impulso per riconsiderare i rapporti della Chiesa con altre fedi, con il riconoscimento delle “ricchezze che Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli” (Decreto sull'attività missionaria, nr. 11), e la comprensione che elementi di verità e santità vengono riflessi nella vita di molte persone (mettendo da parte) l'”imperialismo religioso” di secoli (passati)” (Laurence E. Frizzell, Jewish-Christian Relations and the Dialogue with World Religions, SIDIC, Vol. 28 No. 2, 1995).

Di conseguenza, mentre la Nostra Aetate enfatizza il fatto che il cristianesimo ha le sue radici nell'ebraismo, essa afferma non solo la presenza divina fuori della Chiesa, ma è anche fonte di ispirazione per una teologia della collaborazione, in maggiore o minore misura, tra le religioni del mondo.

Se infatti affermiamo la nostra fede in una divinità onnipresente ed onnisciente che ha creato tutti gli esseri umani “a sua immagine”, e che perciò si rapporta con loro tenendo conto della loro diversità culturale ed ideologica, allora devono esistere modi ideologicamente e culturalmente diversi di rapportarsi con Lui. Avere a che fare con queste realtà diverse non significa necessariamente dover scendere a compromessi con le proprie pretese ed esperienze della verità. Significa piuttosto dire essere arricchiti dalla diversità, che è Divina, è una parte, un frammento della stessa Creazione, e ne costituisce uno sviluppo.

Tuttavia, la Nostra Aetate non è stata soltanto fondamento per l’incontro interreligioso e per il dialogo, ma anche per un’azione comune. Se i valori confessati e condivisi dalle religioni nascono da un senso del Trascendente nel mondo, allora noi, che confessiamo tale presenza Trascendente, siamo obbligati in modo particolare a lavorare insieme per promuovere tali valori  – particolarmente la santità di vita e la famiglia. In ciò la nostra azione deve risultare più forte della somma delle diverse componenti. Se non facciamo ciò finiamo in effetti per tradire gli stessi valori di cui affermiamo di essere portatori.

L’iniziativa di Assisi del 1986, di San Giovanni Paolo II, è stata, conseguentemente, la meta finale tracciata dal cammino della Nostra Aetate, ed ha reso il dialogo e la cooperazione interreligiosi parte principale delle religioni tradizionali, più di quanto lo fosse mai stato prima.

Questo spirito è stato rinforzato durante gli incontri multireligiosi di preghiera per la pace nei Balcani nel 1993 e durante gli incontri in occasione degli anniversari dell’evento del 1986, convocati da Giovanni Paolo II e, nel 2011, da Papa Benedetto XVI. Tuttavia, lo spirito di Assisi è stato anche fatto proprio da molti segmenti significativi della Chiesa – e qui, in particolare, è da fare particolare menzione della Comunità di Sant’Egidio.

Mi unisco a tutti coloro che esprimono la loro ammirazione per il modo in cui questa fiaccola olimpica spiritualè stata tenuta alta e passata di mano in mano per tutto il mondo da parte della Comunità di Sant’Egidio. Ciò vale come ispirazione per tutti noi nei tempi difficili. Vale non solo a testimoniare che la pace è sempre possibile, ma serve anche da appello affinché facciamo quanto ci è possibile, ognuno secondo le proprie capacità, affinché tale visione di un mondo affrancato diventi realtà.

Quindi, la Nostra Aetate si è spinta oltre a rivoluzionare il rapporto della Chiesa con il Popolo Ebraico, in quanto l’approccio positivo verso le altre religioni mondiali di fatto ha preparato la strada verso Assisi, affinché le religioni mondiali diventassero ciò che aspirano ad essere – una sorgente di benedizione e di pace per tutta l’umanità.

 

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