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7 Dicembre 2010

Ma l’Italia unita restò cattolica

 
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L’ Italia, come Stato moder­no, faceva in un certo sen­so parte di quel mondo, con cui il Sillabo aveva dichiarato che la Chiesa non doveva riconci­liarsi. L’'identità originaria della nostra nazione' – afferma Lucio Villari in un recente libro, Bella e perduta – è strettamente connessa all’«affermazione della laicità del­lo Stato appena formato». Questa laicità è espressione di quella mo­dernità, verso cui la Chiesa ha scelto un atteggiamento intransi­gente. Intransigenza è parola chia­ve per capire il cattolicesimo otto­centesco, come ha insegnato Emi­le Poulat, anche se non piace. Al­l’intransigenza verso l’Unità laica e liberale si collega la nota que­stione romana. Pio IX reclama i di­ritti millenari della Chiesa su Ro­ma e i suoi possessi, in una logica tipica della cultura della Restaura­zione. Ma non è l’unico registro. Il papato – Pio IX e i suoi successori – sentono di non poter esercitare il loro ministero come sudditi di u­no Stato, seppure dotati di guaren­tigie offerte dallo Stato italiano. Le due problematiche (rifiuto dello Stato liberale e sovranità del papa come garanzia della libertà) sono legate. È emblematica la vicenda 'liberale' di Pio IX nel 1848, in cui sente con qualche partecipazione il movimento nazionale, ma re­spinge, prima di tutto, la sua inter­pretazione liberale, mentre riaffer­ma la sua sovranità e il fatto (deci­sivo) che il papa non può schierar­si contro uno Stato, l’Austria, in fa­vore di un altro, l’Italia futura.

Il Regno prospetta al papato una condizione troppo diversa da co­me ha vissuto per un millennio. La Chiesa, pur rivestendosi delle for­me dell’ ancien
règime ed usando ancora con Pio IX argomentazioni tipiche di questa cultura, non si considera d’altra parte un’istitu­zione del mondo della Restaura­zione e sente di avere un futuro al di là del crollo di questo universo.

C’è quindi un duplice profilo da cogliere: la battaglia di Pio IX nel suo tempo, ma anche la convin­zione che la Chiesa abbia un futu­ro ulteriore, sorretta certo da argo­mentazioni di fede e dal fatto che il popolo italiano sembra in buona parte fedele al papa.

La riflessione su Chiesa e Risorgi­mento potrebbe svilupparsi, eru­dita (perché tanti, specie in passa­to, l’hanno approfondita), sull’e­straneità cattolica e papale allo
Stato unitario, magari sofferman­dosi sulla caduta dell’ipotesi gio­bertiana, conciliatrice di Unità, potere temporale del papa, ruolo nazionale del cattolicesimo. Op­pure si potrebbe indugiare su ap­passionate avventure di pontieri tra i due mondi, puntualmente smentite. Le pagine di Arturo Car­lo Jemolo, integrate da tanti studi successivi, restano come un riferi­mento, attraversate, come sono, dalla nota dolente del cattolico li­berale per il mancato incontro tra due mondi (che nel suo sentire a­vrebbe potuto condurre a una riforma dell’una e a un arricchi­mento dell’altro). Tuttavia viene da chiedersi se, al di là dell’estraneità e dell’ostilità al Risorgimento del papato e dei cat­tolici, nonostante eventi traumati­ci, proprio nel cuore di questo processo di unificazione non av­venga nella Chiesa una trasforma­zione profonda. Non si tratta di conciliazione tra Stato e Chiesa né di trasformazione 'democratica' del governo della Chiesa come au­spicavano alcuni cattolici liberali.

Si tratta di un aspetto importante del Risorgimento, ma sottaciuto. Il cattolicesimo diventa italiano e si rimodella sulla dimensione della nazione. Non si spiegherebbe al­trimenti come, dopo conflitti, sco­muniche, crisi di coscienza, si arri­vi ad un’accettazione cattolica del­l’Unità d’Italia, piuttosto serena.

Con l’Unità e la presa di Roma, viene rimodellata traumaticamen­te la struttura della Chiesa con le leggi sull’asse ecclesiastico e la soppressione delle corporazioni religiose. I religiosi in Italia passa­no
dai 30.632 del 1861 ai 9.163 del 1871, le religiose dalle 42.644 alle 29.708. Si chiudono storici mona­steri. Si smantella un mondo anti­co di vita religiosa, mentre si seco­larizzano le opere pie, l’assistenza, l’istruzione. Resta in piedi, sup­portata e riconosciuta dallo Stato, la struttura pastorale della cura d’anime, rappresentata dalle par­rocchie e dalle diocesi. La Chiesa è la struttura di assistenza religiosa della società nella visione dello Stato liberale.

Sembra la fine di un mondo, quel­lo religioso di sempre, che ha se­gnato con monasteri, conventi, i­stituzioni,
il panorama umano e ambientale d’Italia. Ci sono atti e cambiamenti radicali. Un’indagi­ne rileva che, dal 1855 al 1879, so­no soppresse più di 4.000 case re­ligiose con 57.492 membri. Nel Mezzogiorno – ha rilevato Gabrie­le De Rosa – vengono soppresse le chiese recettizie, che avevano co­stituito la spina dorsale della Chie­sa, mentre la parrocchia tridenti­na non si era mai affermata a dif­ferenza del Nord. Con la percezio­ne acuta della fine del mondo, si sviluppa nel cattolicesimo una ve­natura apocalittica, mentre si moltiplicano episodi miracolosi e apparizioni. La laicizzazione della vita pubblica, della scuola, della sanità, introduce un orizzonte ra­dicalmente nuovo e laico negli Stati della Chiesa e altrove. Le pa­role di Pio IX registrano sconcerto e condanna. Sembra davvero la fi­ne del mondo di sempre.

Tuttavia, nonostante le compren­sibili deprecazioni di fronte alla volontà di ridurre il ruolo della Chiesa, questa fine del mondo di­venta la fine di un mondo, non la fine del cattolicesimo nel Regno d’Italia. Certo il ruolo della Chiesa è molto ridotto, mentre frana l’o­rizzonte pubblico della cristianità.

Ormai la Chiesa, più che avere u­no spessore sociale e pubblico, rappresenta l’istituzione erogatri­ce dell’assistenza religiosa per vo­lontà del nuovo sistema. Tuttavia che l’istituzione preposta a questa funzione sia la Chiesa cattolica non è in discussio­ne per il governo i­taliano. Non si fa­voriscono gli evan­gelici, né quei ve­scovi liberali e pa­triottici, specie del Sud, come Caputo, presidente dell’as­sociazione clerico­liberale italiana nel 1861, e Giampaolo Di Giacomo, senatore del Regno, o i preti passa­gliani. Sorsero società indipen­denti di clero, che fanno pensare a quelle sviluppatesi nel secondo dopoguerra nell’Est comunista.

Ma il governo alla fine non le ap­poggia. La religione italiana resta la Chiesa romana. E lo resta tra la gente. Più temibile per la Chiesa sarà l’anticlericalismo socialista, mentre quello borghese e liberale, pur forte, si ferma alle soglie delle masse italiane. Vari studi hanno mostrato che l’unificazione non comporta una crisi della pratica religiosa o dell’attaccamento alla Chiesa, come era stato preannun­ciato catastroficamente. L’Italia re­sta un paese cattolico, quasi spec­chio di quello che lo Statuto alber­tino dichiara: l’essere il cattolicesi­mo la religione di Stato.



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