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19 Giugno 2011

«Saranno i poveri a cambiare I'Italìa»

Il mondo del volontariato: la carità genera futuro

 
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Roba per chi ama, non ha paure ed è tosto. Per chi ha fede e non mollerà mai. I poveri — chiunque siano — sono affare nostro, anzi sono noi. Ed essere loro amici è un privilegio. Perché i poveri ci rendono migliori: la loro condizione «mobilita le energie migliori di un Paese» e quelle energie un Paese lo possono cambiare. Nessuno ha dubbi, fra i duemila che sono arrivati qui da tutta Italia — appartenenti a centocinquanta associazioni e movimenti — per un incontro mai realizzato prima.
"Il dono e la speranza. Amici dei poveri a convegno", l'hanno chiamato. Cioè gli "stati generali" di chi vive accanto ai poveri. Due giorni voluti e organizzati dalla Comunità di Sant'Egidio insieme all'Associazione Papa Giovanni XXIII e all'Arcidiocesi di Napoli. Davvero roba per gente che ha fede e non saprebbe mollare mai: perché «chi sta vicino al povero non accetta il colore grigio della rassegnazione», dice chiaro Andrea Riccardi. Perché, dice Giovanni Paolo Ramonda, successore di don Oreste Benzi alla guida della Papa Giovanni, «è il tempo della scelta, dell'esserci, dell'impegno creativo, civile e anche politico, per fare cieli nuovi e terre nuove dove regna la giustizia di Dio».
Nessuno si nasconde, né si nasconda: tocca alle parrocchie, alle comunità, alle associazioni, ai movimenti, a ogni credente.
E serve prima di tutto «la cura del ritorno alla partecipazione, alla corresponsabilità e alla cittadinanza — spiega don Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana—. La cura della promozione di nuovi stili di vita», recuperando e diffondendo la legalità, «senza più scegliere forme di difesa autonoma, di lavoro nero o sottopagato, di giustizia comprata, di sfruttamento dell'ambiente, di violenza oppressiva, di interessi di parte». Una chiave è «non pensare alla povertà come una condizione permanente e i poveri una categoria a sé stante — secondo Andrea Olivero, presidente delle Acli — i poveri al contrario sono tra noi e siamo anche noi».
La strada, l'emarginazione, certi dolori, sono inferno qui sulla terra, spesso subìto, neppure scelto: chi lo vive nelle sue carni va accolto, aiutato e liberato, «camminando con loro — avvisa Chiara Amirante, presidente di "Nuovi orizzonti" — lungo un percorso di accompagnamento e ricostruzione interiore, ricostruzione del cuore», ben al di là «del loro problema di prostituzione o droga». Chi soffre «ci consegna domande di vita» ed è questo «il significato della condivisione — secondo don Virginio Colmegna, presidente della "Casa della carità" — cioè sentire appartenenti a noi stessi gli interrogativi degli altri. Significa diventare participi di passione ed emozione».
Dunque per volare alto occorre non restare né lasciare soli e soprattutto tenere i piedi ben piantati a terra: «Dare voce ai poveri — spiega Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio — e costruire una società nella quale, a partire proprio dai poveri, si possa vivere insieme e senza esclusioni. Una sfida di fede, ma anche culturale, al mondo dell'effimero».
Tanto più che sembra superato anche il tempo delle denunce, visto che ormai anche queste restano per lo più inascoltate: «E tempo di rimboccarsi le maniche».
Muoversi, allora. Ecco ancora Ramonda: «La speranza viene da una rivoluzione dell'esistenza che non viene fatta pagare agli altri, ma paghiamo sulla nostra pelle». Per questo «i poveri continuano a sperare, perché tanti "liberatori" camminano con loro, al loro fianco». E sia chiaro — annota Riccardi— che «essere amici dei poveri non è un dovere, ma gioia». Non è solo un fatto etico, ma diventa «creatore di arte, di poesia, cultura , di senso umano». Un umanesimo amico dei poveri «ha in sé un senso di universalità», riguarda tutti, anzi «preserva la società intera dall'imbarbarimento». E basterebbe soltanto questo per dare voce ai poveri e all'amicizia con loro: «Ne scaturisce un messaggio veramente umano e di umanesimo per tutti».
Su tutto questo stanno lavorando da ieri sera i tredici gruppi (per altrettanti argomenti) nei quali si sono divisi i partecipanti Un paio di esempi di quanto è cominciato a venire fuori? La ricchezza della diversità crea una umanità piena, così «essere diversamente abili non solo non è una condanna, ma spesso fa emergere qualità umane e spirituali che i normodotati non hanno». Dunque le pratiche di aborto selettivo, «oltre che imbarbarimento di una piena cultura dei diritti, appaiono come un grande impoverimento dell'umanità tutta». E poi, a proposito di famiglia, «non è accettabile una società che non sa più farla, così negando il futuro» e del resto una famiglia su quattro è fatta di legami precari. Del resto «continua a diminuire il numero medio di figli per donna.
È scomparsa una generazione di giovani». Insomma, «occorre invertire questa tendenza, con politiche familiari più incisive e con un'attenzione maggiore alle sfide educative».


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