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20 Settembre 2015

Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me: l'omelia di don Marco Gnavi a S.Maria in Trastevere

Commento al Vangelo della XXV domenica, anno B

 
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Sapienza 2,12.17-20
Giacomo 3,16-4,3
Marco 9,30-37

Care sorelle e cari fratelli,

il Vangelo di Marco riporta un’affermazione di Gesù che ci è cara e che ogni cristiano è in grado di evocare: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato”. Riflettiamo però sul momento in cui la pronuncia a Cafarnao. Due riquadri: il primo mostra Gesù in disparte mentre, lontano dagli occhi della folla,   apre lo sguardo dei discepoli sulla sua prossima sofferenza: una sofferenza, ingiusta, la più ingiusta, segnata dall’impotenza – lo consegneranno nelle mani degli uomini - dalla morte – lo uccideranno, e infine dalla speranza, nella quale credeva fermamente – dopo tre giorni risorgerà. L’altro riquadro, svela dove si concentrasse il ragionare dei discepoli in quel momento e quale fosse il loro sentire: erano presi da problemi “interni”: discutevano infatti tra loro su chi fosse il più grande.

Cosa significa per noi? Proprio perché discepoli, ci siamo raccolti nei giorni passati a Tirana, allargando lo sguardo a tutti i teatri di guerra e di conflitto, in una terra che sembrava aspettarci, guarita da tante ferite. E’ di fronte a questi teatri e agli immensi esodi tragici di centinaia di migliaia di profughi, che risuonano le parole di Gesù. Risuonano chiare, forti, limpide, al di sopra delle parole dei decisori politici della nostra Europa,  o di non poche dichiarazioni di uomini di chiesa troppo pavidi. Risuonano limpide anche nelle nostre coscienze, sfidandoci nell’amore, nella capacità di profezia. Chi accoglie uno solo di questi bambini… Aylan, il piccolo siriano di tre anni, adagiato sulle coste turche, affogato insieme alla madre e al fratellino. La bambina presa a calci da un’operatrice televisiva ungherese, mentre cercava di attraversare il muro di filo spinato. Il volto dei piccoli eritrei, illuminato tante volte dalle candele accese, qui a S.Maria e ovunque la Comunità ha pregato per chi è morto nelle traversate del Mediterraneo. Un bambino, innocente, è sempre affamato, assetato, di pace, di sicurezza, di futuro: è preghiera vivente che chiede di scardinare per lui le porte degli inferi e, per lui, di vincere per lui il male.

Il mondo degli adulti invece, dei popoli adulti, o che si ritengono tali, sembra quello evocato dall’apostolo Giacomo: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra alla vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate la guerra!” Questo è realmente il presente e il futuro di chi uccide la speranza, quando è bambina.

Gesù, al contrario, mentre sta per morire, afferma: nel  bambino che realmente è fra voi c’è tutto il Vangelo. Cominciate ad accogliere lui è invertirete le sorti della storia. E’ fare spazio a un principio di vita, contro il principio di morte.  Per un solo bambino, un solo piccolo, vale la pena di combattere, di orientare tutta la vita, la Chiesa – lo sa bene e lo ha detto più volte Papa Francesco con forte chiarezza - la Comunità, ogni famiglia di discepoli. “Chi accoglie lui, accoglie me”. E accogliendo un bambino lo si vedrà crescere fra di noi.

D’altra parte, questa battaglia ha bisogno di donne e uomini sapienti, colti, generosi. Immuni dalla miopia, che si vuole come difesa dal dolore (non vedere, per non soffrire, o vedere troppo, abituandosi al dolore altrui), o dalla violenza. Ogni piccola guerra quotidiana, di ciascuno contro gli altri, sottrae energie alla vera battaglia che dobbiamo combattere contro la morte.

Dice Giacomo: “La sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera”. Ognuno di questi attributi può, potrà associarsi al nostro nome se crederemo, accoglieremo, combatteremo. C’è una forza mite dei cristiani, che sanno essere rocciosi di fronte al male. P. Ernest Troshani, condannato a morte a Tirana dai tribunali di Enver Hoja, quando era solo un giovane prete, torturato più volte, in cella pregava per i suoi persecutori. Ebbe la sentenza commutata in 10 anni di lavori forzati nelle fogne, perché la spia che era stata introdotta nella sua cella raccontò al procuratore di questa “folle” prete che chiedeva la salvezza non per se, ma per chi lo uccideva. Oggi ha 84 anni e continua a infondere vita nei giovani e entusiasmo per il Vangelo.

Lottare con la sapienza pura e pacifica, essere coraggiosamente e profeticamente miti, e accogliere uno solo di questi bambini costa a volte la vita: il graffio di questa minaccia è una conferma della verità e della bontà della via che si percorre. Lo si legge nel capitolo secondo del libro della Sapienza, e nella vita di nostri fratelli giovani, come William e Floribert, che sono stati uccisi. Dissero gli empi: “Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni…Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine. Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dai suoi avversari. Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, per conoscere la sua mitezza e saggiare il suo spirito di sopportazione”.  

Oggi, Signore, ti chiediamo sapienza, mitezza e forza dei giusti, per accogliere il bambino, i bambini che poni in mezzo a noi, e così accogliere te, speranza vera di vittoria sulla morte e futuro nostro, della nostra Europa e del mondo intero. Amen


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