Il 14 gennaio 2010, con uno storico discorso in Parlamento, il Presidente della Mongolia Tsakhiagiin Elbegdorj, ha solennemente proclamato l’introduzione di una moratoria ufficiale delle esecuzioni, ha decretato la riduzione automatica di tutte le sentenze capitali in 30 anni di reclusione e ha manifestato apertamente la sua intenzione di giungere quanto prima all’abolizione totale e incondizionata della pena di morte.
La Comunità di Sant’Egidio esprime il suo più caloroso apprezzamento, per una sorprendente e coraggiosa determinazione nella volontà di cancellare una volta per tutte dalla legislazione della Mongolia la pena capitale.
Tale risolutezza in verità non è il frutto di una decisione improvvisa. Già 19 anni fa, da deputato, Elbegdorj aveva infatti proposto di introdurre, a livello costituzionale, la sua completa eliminazione dal sistema giudiziario del paese centroasiatico.
Tuttavia la straordinarietà dell’iniziativa presidenziale si contraddistingue per un approccio profondamente umanista nella concezione della giustizia, e per una teoria singolarmente progredita del rispetto della vita e della dignità umana, che mostra pochi precedenti nel continente asiatico.
Da quando ha assunto la presidenza della Mongolia, sette mesi fa, Elbegdorj non ha intenzionalmente sottoscritto alcuna esecuzione e indica oggi la necessità di mettere fine a quella che lui stesso non esita a definire la “vergogna” del regime penale mongolo: l’oblio assoluto dei detenuti nei bracci della morte, e dei loro corpi dopo l’esecuzione, occultati dal più rigido segreto di stato, senza che le loro famiglie possano avere un luogo dove poterli piangere.
Il Capo dello Stato, spiegando le ragioni della sua decisione, dichiara anzitutto che la facoltà di concedere la grazia, anche a chi si sia macchiato del peggiore delitto, è un principio cui dover restare fedeli perché garanzia e tutela del valore della vita umana. Si dimostra particolarmente preoccupato dell’errore giudiziario e del rischio di condannare un innocente. Specie in Mongolia, dove sono contemplate 59 fattispecie di reati capitali. Ricorda che in soli 16 mesi, dal 1937 al 1939, ben 20.474 cittadini mongoli – di cui 1228 in un solo processo- furono soppressi, vittime di persecuzioni di regime.
“La pena di morte –afferma il Presidente della Mongolia- degrada la dignità umana, provoca nelle famiglie delle vittime e dei condannati ferite, dolore e risentimenti”. E rammenta che secondo le antiche tradizioni del suo paese, la vita è la più grande ricchezza per ogni uomo e ogni donna.
“Lungi dal privare della vita i propri cittadini –dichiara- al contrario lo stato deve esercitare il potere di impedire la soppressione di un essere umano, laddove la società civile lasciata libera a se stessa non riesca a garantire che gli uomini non si uccidano gli uni gli altri”.
All’argomento del rispetto della maggioranza della volontà del popolo che fosse favorevole all’omicidio di stato, ribatte che nessuno dei paesi che hanno finora abolito la pena capitale lo abbia fatto in seguito a pressioni “dal basso”. Ed uno stato incapace di clemenza non può a suo dire infondere fiducia nei propri cittadini.
“Intendo essere un presidente –dice Elbegdorj- che non privi della vita i suoi cittadini in qualsiasi circostanza in nome dello stato. Il diritto alla vita è assoluto e non può dipendere neanche dal Capo dello Stato”. E continua: “Non esiste alcuno studio in grado di provare che l’abolizione della pena di morte aumenti il tasso di criminalità. E’ invece largamente dimostrato che mantenendola si assiste ad un incremento dei reati più gravi. Dunque, la pena capitale non è un deterrente ai delitti”.
La Comunità di Sant’Egidio condivide nel profondo tali convincimenti, sostiene e incoraggia il presidente Elbegdorj nel non agevole itinerario verso l’abolizione nel suo paese e saluta un evento di straordinaria rilevanza verso l’affermazione della vita sempre e comunque.
Il lavoro comune della Comunità di Sant’Egidio con Tamara Chikunova, che ha già condotto all'abolizione della pena capitale in Uzbekistan, ha sostenuto gli sforzi che in questi anni hanno creato a livello istituzionale e della società civile un cambiamento decisivo per un maggiore rispetto della vita umana e una giustizia senza morte in Mongolia. Quello compiuto oggi in questo paese è un passo importante che indica una strada percorribile anche da altri governi dell'Asia, nell'anno in cui verrà ripresentata alle Nazioni Unite la Risoluzione per una Moratoria Universale all'Assemblea Generale.
|