A tre mesi dall'introduzione della terapia con farmaci antiretrovirali alle donne in gravidanza, nel Centro di Salute di Matola II è nata la prima bambina "protetta" dal virus.
Dall'inizio del mese di maggio, nel Centro di Salute di Matola II è iniziata la terapia antiretrovirale alle donne in gravidanza per impedire la trasmissione madre-bambino. Sono circa 300 le donne prese in cura, da allora, dalla Comunità. E' una bambina la prima nata da una delle prime donne prese in cura.
Oggi è festa nel Centro di Salute di Matola II, dove da alcuni mesi la Comunità ha avviato il programma che ha come obiettivo quello di prevenire la trasmissione del virus dell'AIDS dalla madre al bambino e, allo stesso tempo, quello di curare le madri. C., 24 anni, sieropositiva, due figli già morti di AIDS, ha da poco dato alla luce un bella bambina. C. è stata una delle prime donne che, da maggio di quest'anno, è entrata a far parte del nostro programma.
Ricordiamo il primo incontro con lei, giovane donna giunta al nostro Centro quando era già al settimo mese di gravidanza: il terrore davanti alla proposta di fare le analisi, poi la paura davanti alle siringhe, strumenti che non aveva mai visto. Ma, ridendo, scherzando e tenendole la mano, la paura è stata superata. Poi, però, abbiamo dovuto comunicarle che era sieropositiva: un momento per lei difficile e doloroso. C. aveva sentito parlare dell'AIDS come di una grande maledizione, una condanna senza speranza. Aveva già vissuto il dolore della perdita di due figli, senza capire il perché.
Il primo incontro con lei è stato l'incontro con una donna rassegnata davanti ad un destino che le appariva ineluttabile.
Settimana dopo settimana – ogni volta che C. tornava al Centro per prendere la terapia - l‘amicizia è cresciuta. Ha cominciato a parlare della sua vita. Ci ha raccontato una storia difficile di violenze, di abbandoni, di dolore per la perdita di tante persone care. I milioni di vittime che l'AIDS miete in Africa non sono numeri. Sono persone, storie, volti.
C. ci ha parlato con preoccupazione del futuro del figlio che sarebbe nato. Dovrà tirarlo su da sola? Rimarrà orfano? Ci ha parlato del timore per il domani. Un domani che si preannunciava difficile e incerto.
Ma dall'incontro con i medici, gli infermieri, gli amici della Comunità, C. ha ricevuto una buona notizia: l'AIDS poteva essere combattuto, la vita del figlio che stava per nascere poteva essere preservata. Il nostro ambulatorio, allora, è divenuto, prima di tutto, il luogo della speranza. La speranza di poter essere curata e sostenuta, di poter far nascere sano il suo prossimo figlio.
C., insieme ai nuovi amici, ha potuto fare la scelta di lottare, di non cedere alla rassegnazione e alla disperazione. Ma prima ancora di iniziare questa lotta aveva già vinto la sua prima battaglia: contro la solitudine e l'abbandono. Non avrebbe mai più lottato da sola.
Fin dal settimo mese di gravidanza, ha iniziato la terapia con i farmaci antiretrovirali secondo il protocollo terapeutico messo a punto dalla Comunità. C. non lo sapeva, ma era una delle prime donne di tutta l'Africa ad utilizzare questo protocollo nuovo, il cui obiettivo non è solo quello di preservare la vita del bambino, ma anche quello di curare la madre.
Il momento del parto è venuto alcuni giorni prima del previsto, nel cuore della notte, mentre C. si trovava ancora nella sua povera baracca di terra e lamiera. Come fare per arrivare al Centro di Salute di Matola II, dove – ne era certa - avrebbe ricevuto aiuto? Gli spostamenti, in questi quartieri di baracche e capanne, dove non c'è alcuna illuminazione sono già molto difficili durante il giorno, tanto più la notte, senza alcun mezzo di trasporto. C., aiutata da alcuni vicini, si è messa in cammino per cercare di arrivare al Centro di Matola II. Non c'è riuscita, si è dovuta fermare nel corso del cammino presso un altro ospedale, dove è nata la sua bambina.
Ma, C. non si è data per vinta. Sì, la parola rassegnazione sembra proprio scomparsa dal suo vocabolario. Appena riprese le forze, subito dopo avere partorito, si è rimessa in cammino, nonostante il freddo dell'inverno mozambicano. Stringendo al petto la piccola, avvolta in una coperta, si è avviata verso il Centro di Matola II.
Sapeva – nel corso delle settimane precedenti, le era stato spiegato con cura - che doveva arrivare al nostro Centro di Salute al più presto, affinché anche la bambina potesse ricevere i farmaci che potevano proteggerlo dal virus. É arrivata stremata, ma in tempo utile. La piccola neonata ha ricevuto la terapia necessaria.
Anche C. continuerà a ricevere la sua terapia, oltre a tutto ciò che è necessario per permetterle un allattamento sicuro. Un'altra battaglia è vinta!
Oggi è festa a Matola II. Ma non è che l'inizio. Il numero delle nostre "pazienti" e amiche cresce di giorno in giorno…
Leonardo Emberti
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