Alcune centinaia di persone, tanti bambini, un clima commosso: si è svolta ieri a Torpignattara la preghiera per la riconciliazione voluta dalla Comunità di Sant'Egidio insieme alla parrocchia di San Barnaba e altre parrocchie della zona per ricordare Shahzad, il giovane pakistano ucciso pochi giorni fa e per pregare perchè la città di Roma trovi vie di convivenza e di pace. "Noi abbiamo bisogno di sentirci comunità. Non usiamo più la parola straniero nelle nostre comunità cristiane! 'Fratello': questa è parola del vocabolario cristiano!" ha detto il vescovo ausilare del settore est di Roma mons. Marciante, nell'omelia "Dobbiamo con questo nuovo vocabolario portare nei nostri quartieri la cultura dell'incontro e del dialogo. La parola straniero ha dietro di sé la cultura delle frontiere. Attenti perché le parole sono importanti! Viviamo in questo quartiere nella cultura dell'incontro, della conoscenza, siamo promotori di una cultura nuova. Costruiamo insieme un futuro migliore!".
Alla preghiera ha preso parte anche il cugino del giovane ucciso. Nelle sue parole la gratitudine verso quei tanti uomini e donne che esprimevano un desiderio di pace e di convivenza, ma anche il dolore nel ricordo di un giovane venuto in Italia alla ricerca di un lavoro per mantenere la famiglia rimasta in Pakistan: la moglie e quel bambino di tre mesi che non consocerà mai suo padre.
La veglia si è conclusa con una marcia silenziosa per le vie del quartiere fino al luogo della morte di Shahzad, dove è stata deposta una corona di fiori a cui se ne sono aggiunti tanti altri, deposti da giovani, bambini, anziani in segno di partecipazione e di speranza.
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