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1 Diciembre 2015

Le interviste

«Sono moderati tutti i musulmani che hanno una fede»

Impagliazzo, presidente della Comunità di S. Egidio «La religione è moderazione»

 
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«La definizione di islam moderato non mi convince. Preferisco parlare dei musulmani che hanno una fede, vanno in moschea, seguono i precetti e vivono pacificamente. E sono la stragrande maggioranza...». Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio parte da qui per provare a definire i contorni culturali e geopolitici del mondo islamico con il quale possiamo dialogare e trovare un terreno comune nella lotta all'Isis.
Si può parlare di moderazione a proposito di una scelta così radicale come quella della fede?
«La religione è moderazione, e guida sulla via del bene».
Anche quando ha un'idea della vita, come nel caso dell'islam, diversa da quella dei cristiani?
«La sacralità della vita è riconosciuta da tutte le religioni, poi ognuno la interpreta a suo modo. Se lei si riferisce ai kamikaze, posso dirle che usare la vita per distruggere è solo una bestemmia. Sempre e comunque».
Il poeta siriano Adonis dice che l'islam, una religione di conquista, è per sua natura violento.
«È vero che l'islam è nato come una religione di conquista, però anche i cristiani hanno avuto la loro fase storica di violenza. Il terrorismo e la guerra che uccidono, sono caricature dell'islam e non lo rappresentano».
Come si fa a dialogare con una religione che, a nostra differenza, non riconosce la separatezza tra Dio e Cesare, tra la fede e lo Stato?
«È un punto molto delicato, però dobbiamo essere consapevoli che tra l'islam e il cristianesimo ci sono alcune differenze importanti, come questa. Il dialogo tra le fedi deve passare attraverso le persone. Con un obiettivo comune ribadito da Papa Francesco proprio oggi, entrando nella moschea di Bangui, nel cuore dell'Africa: la pace».
Già, la pace. Intanto dobbiamo fare i conti con gli attacchi dell'Isis anche a casa nostra, nel cuore dell'Europa. «Cerchiamo di definire il campo di "battaglia", senza affidarci ai raid militari. La vera lotta dobbiamo farla al nichilismo, alle teste vuote di chi cede alle seduzioni dell'Isis. Il primo terreno è il web, dove avviene il reclutamento. E poi le grandi periferie. Ci sono tanti giovani che hanno grandi possibilità, ma non hanno un senso per la loro vita».
Siamo attrezzati?
«Scontiamo ancora dei ritardi culturali. Ricordo le bellissime parole di Tullia Zevi, di fronte a gravi episodi di antisemitismo. Diceva: "Dobbiamo riempire quelle teste vuote". E oggi per farlo, abbiamo bisogno della collaborazione dei musulmani».
Quanto conta nelle «teste vuote» il disagio per la povertà?
«C'è molta retorica su questo argomento. Credo che conti, ma ci sono anche diversi terroristi provenienti da famiglie benestanti».
E il disagio delle periferie europee?
«La mancata integrazione, in tante città europee, ha creato ghetti di figli di musulmani di seconda e terza generazione. Luoghi dove mancano agenti di prossimità,
mediatori: scuole, sindacati, partiti. E nel vuoto il nichilismo non trova anticorpi».
Per la prima volta i musulmani in Italia sono scesi in piazza per prendere le distanze dall'Isis. Ma erano davvero pochi.
«Innanzitutto hanno pesato, negativamente, le condizioni metereologiche. Poi tenga presente che solo il 15 per cento dei musulmani in Italia frequenta le moschee. Mi sembra comunque che sia stato un buon inizio: era la prima volta che i musulmani manifestavano in così tante città italiane contro il terrorismo».
Si sta riducendo, tra i musulmani, la zona grigia dei giustificazionisti dell'Isis?
«Sì, e per un motivo preciso: i musulmani si sentono loro stessi sfidati e dilaniati dalla violenza dell'Isis. E questo li porta a rinunciare al vittimismo».
E sta aumentando la consapevolezza che nel nostro paese, da immigrati, si conquistano diritti ma anche doveri?
«Lo scoglio maggiore, su questo ver
sante, è quello che lei accennava prima, ovvero la separatezza tra Stato e Chiesa, che per loro non esiste. Intanto, però, l'Europa è diventata il luogo della nuova coabitazione e ai musulmani viene chiesto di accettare le leggi del Paese dove hanno scelto di vivere».
A proposito di leggi e costumi, lei che cosa ne pensa del presepe vietato nelle scuole?
«Non serve a nessuno eliminare ogni segno di appartenenza: al contrario, il dialogo si costruisce a partire dalla propria identità religiosa e dalla propria cultura. Anzi, così come noi dobbiamo conoscere e rispettare le loro feste, invito i musulmani d'Italia ad aiutarci ad allestire i nostri presepi, anche perché Gesù è profeta riconosciuto dall'islam».



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