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8 Luglio 2015

La celebrazione. Copti, musulmani e cattolici si sono stretti attorno alle bare di tredici stranieri. I corpi di altre settecento persone sono ancora in fondo al mare

Catania, funerali interreligiosi per le vittime del grande naufragio

 
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«PM39...». Solo una sigla e un numero, niente nomi, sulle bare di tredici vittime del «racket dei migranti», allineate ieri a Catania nel Palazzo dei Chierici per i funerali interreligiosi organizzati dall'amministrazione comunale. Di quei tredici corpi che la Marina Militare ha recuperato dal peschereccio affondato il 18 aprile nel Mediterraneo, dov'erano annegati 700 uomini, donne e bambini i medici legali hanno potuto rivelare ben poco: «Tutti maschi, nordafricani, di età compresa tra i 25 e i 30 anni». Il prelievo del Dna, comunque, lascia la possibilità di eventuali, future, identificazioni.
Sono casse funebri messe a disposizione da un'impresa cittadina confiscata alla mafia, quelle allineate ieri mattina nel cortile dell'antico edificio municipale che ospita gli uffici di Ragioneria e «guarda» la Cattedrale di Sant'Agata, Palazzo degli Elefanti, la statua del «Liotru». Per i tredici migranti senza nome, l'arcivescovo Salvatore Gristina e il vicepresidente della comunità islamica di Sicilia, Ismail Bouchnafa, insieme con il rappresentante della Chiesa Copta d'Egitto, Abona Bola, hanno recitato le preghiere dei defunti. «Oggi diamo loro un minimo di quello che non abbiamo saputo dargli in vita», ha commentato l'imam prima di intonare il «Salat al-Janaza».
Il sindaco Enzo Bianco, che ha tenuto un breve discorso introduttivo, ha ricordato «i tanti morti ancora sepolti nel Mediterraneo». Quindi, ha esclamato: «Davanti a queste tragedie, penso che le polemiche politiche facciano rabbrividire». Per la prima volta nel capoluogo etneo anche il nuovo comandante della Legione Carabinieri «Sicilia», il generale Riccardo Galletta, l'ultimo intervento è stato affidato a Emiliano Abramo in rappresentanza della Comunità di Sant'Egidio: «Ci troviamo ancora una volta - ha detto Emiliano Abramo - a raccogliere in questa città costiera di Catania frammenti di vita dal mar Mediterraneo. Ma non si può morire di speranza, non è giusto. È scritto anche sulla stele che ricorda il primo tragico sbarco a Catania di questa nuova stagione, quello del 10 agosto 2013 dove persero la vita 6 giovani egiziani e che anche quest'anno ci apprestiamo a commemorare». E ancora: «Morire di speranza è inaccettabile. Questo abbiamo capito rimanendo seduti a guardare il mare e questo, in modo appassionato, è il nostro urlo debole che vuole scandalizzare l'anima dell'Europa».


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