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Basilica di S. Bartolomeo all’Isola Tiberina, 1 luglio 2009
Resistere al male e alla violenza Presentazione della nuova edizione del libro di Andrea Riccardi
“Il secolo del Martirio” Intervento di Adriano Roccucci
Il punto di osservazione da cui proverò a dire alcune cose è quello delle vicende dell’Unione Sovietica e del martirio, in modo particolare, della Chiesa ortodossa russa. È una pagina che occupa un posto significativo nella storia delle persecuzioni antireligiose nel Novecento e che il libro pone non a caso nel suo primo capitolo. Riccardi sostiene giustamente che in Russia è avvenuto un vero e proprio massacro di cristiani, soprattutto ortodossi, ma non solo. Gli eventi della storia russa costituiscono uno degli assi portanti della vicenda storica del secolo passato. Credo che lo si possa dire analogamente per la storia del cristianesimo nel Novecento. La persecuzione, che ha condotto alla morte un milione di ortodossi, uccisi per motivi di fede in Unione Sovietica, secondo le stime più attendibili, ha colpito una grande Chiesa cristiana, travolta dall’ondata della guerra, della rivoluzione, dell’esperimento bolscevico di costruzione di un mondo e di un uomo nuovi.
La vicenda dei cristiani russi è la storia di una resistenza cristiana al male, che si è manifestato in Russia con particolare virulenza e intensità. Ed è una storia a suo modo esemplificativa della vicenda della persecuzione contro i cristiani, che come ha sottolineato Riccardi nel libro “mostra il volto inumano, violento, intollerante, terribile del Novecento”. È un punto di partenza importante, non del tutto acquisito dalla storiografia: ovvero la persecuzione dei cristiani costituisce una delle espressioni del male, una delle manifestazioni della violenza nel corso del XX secolo. Il secolo del martirio mostra in modo inequivocabile che la persecuzione antireligiosa è stata una realtà della modernità e lo è stata in modo particolare nel cuore dell’esperienza che si è pensata e proposta come l’avanguardia della modernità, quella bolscevica in Russia. La persecuzione antireligiosa non è stata estranea al moderno e si è accompagnata alle manifestazione della violenza che hanno segnato in modo così profondo il Novecento.
È molto chiaro questo per la storia della Russia. Tuttavia la vicenda russa è emblematica anche per un altro aspetto, che mi pare ricorra frequentemente nelle vicende esaminate nel libro: la persecuzione dei cristiani nel corso del Novecento ha avuto il suo terreno di coltura nella guerra moderna, guerra di massa, guerra totale, e in società modellate da questo tipo di guerra. Infatti, è nell’onda provocata dall’impatto che la Grande Guerra ebbe sulle società europee, segnando un punto di non ritorno, che vanno collocate anche le persecuzioni antireligiose del Novecento, almeno nel contesto europeo. Infatti, senza considerare come a partire dagli anni della prima guerra mondiale la vita delle società europee sia stata caratterizzata da un processo di brutalizzazione, non si può comprendere la comparsa della violenza antireligiosa nelle forme assunte nell’Europa novecentesca. Ernst Jünger scriveva alla fine della guerra: «Questa guerra non è la fine della violenza, bensì il preludio. […] La guerra è una grande scuola e l’uomo nuovo sarà della nostra tempra». È stato l’uomo nuovo forgiato dalla guerra a essere il protagonista delle persecuzioni antireligiose.
Il legame tra guerra, forme della violenza e persecuzioni nel quadro della modernità mi sembra sia un nesso che emerge in modo vivido dalle pagine del libro, dall’inizio del Novecento fino a questo primo decennio del nuovo secolo, tanto da costituire una delle chiavi interpretative delle pratiche repressive nei confronti di gruppi religiosi nell’Europa del Novecento. Guerra, male, persecuzione, martirio sono dimensione profondamente intrecciate nel Novecento.
Tale intreccio è iscritto anche nella vicenda della Russia bolscevica. Senza la guerra non si può comprendere il 1917 né l’esperienza bolscevica nel suo complesso, perché il conflitto mondiale e la sua prosecuzione russa nella guerra civile, o più precisamente nelle molteplici guerre che si sono consumate tra il 1918 e il 1921 (con i bianchi, con i contadini, con l’Ucraina, con la Polonia), sono il vero terreno di coltura del bolscevismo. L’esperienza della guerra, la categoria guerra, l’universo mentale della guerra sono ingredienti base del bolscevismo, impastati con l’ideologia marxista e con le peculiarità della storia e della cultura russe. Il sistema sovietico è nato dalla guerra e per la guerra, ed è in tale contesto che occorre collocare le sue manifestazioni e anche la persecuzione antireligiosa.
In questo quadro mi sembra si possa comprendere quale sia la cifra della resistenza dei cristiani al male, di cui Il secolo del martirio tratta, oltreché con finezza interpretativa, anche con grande capacità narrativa. In Russia il Novecento è stato il tempo della persecuzione. Alcune parole antiche, appartenenti a Basilio di Cesarea, che descriveva la sua città al tempo delle persecuzioni dell’imperatore Diocleziano, offrono spunti importanti: “Confusione e turbamento attraversano l’intera città, e saccheggi erano effettuati ai danni dei cultori della pietà […]; non c’era più gioventù compassionevole, non più vecchiaia veneranda […]. Le carceri divenivano sempre più strette e affollate, deserte erano le case una volta prospere, pieni di fuggiaschi i deserti. La pietà era considerata capo d’accusa contro coloro che subivano tutto questo […]. Una notte funesta ricoprì la vita degli uomini[…] abbattute da mani empie erano le case di preghiera, rovesciati gli altari, non più incenso, non più luogo per celebrare sacrifici, bensì una malefica tristezza si stendeva come nube a impadronirsi di tutto. Costretti alla fuga gli adoratori di Dio, gettata nel terrore ogni comunità di pietà”.
Sono parole che si possono applicare, senza tante variazioni, ai molti quadri di cui si compone l’affresco che il nostro libro ha dipinto della vita dei cristiani nel corso del Novecento. È una descrizione che corrisponde alle realtà di paesi e città devastati dalla violenza, dalla guerra, dalle persecuzioni, quali sono stati molti dei luoghi visitati da Riccardi nelle pagine del volume. Le scene per molti versi sono analoghe, nonostante siano ambientate nel cuore dell’età contemporanea.
I cristiani sono chiamati da Basilio cultori della pietà e le loro comunità, comunità di pietà. La pietà nel tempo della persecuzione diviene un capo d’accusa, dice il padre della Chiesa. La resistenza al male dei cristiani assume il tratto della pietà, cioè di una presenza che umanizza anche gli ambienti e le situazioni più disumani. La resistenza dei cristiani russi è stata allo spirito del tempo, e lo spirito del tempo è stato quello della brutalizzazione, dell’assenza della pietà. È significativo che uno degli eroi per l’infanzia proposto dalla pedagogia sovietica fosse la figura, molto probabilmente immaginaria, di Pavlik Morozov, un bambino che negli anni della carestia denunciò il padre per avere venduto del grano, nascondendolo alle requisizioni, al fine di sfamare la propria famiglia. Anna Achmatova, grande poetessa del Novecento russo, nel poema maturato nei mesi del grande terrore, quando trascorreva ore e ore in fila alle porte della prigione di Leningrado in attesa di poter vedere il figlio arrestato, insieme con tante donne che condividevano la stessa sorte, ha condensato in alcuni dei suoi versi lo spirito di quel tempo: “Si è confuso tutto per sempre, e non riesco a comprendere chi è una belva, chi è un uomo”. In questo tempo i cristiani, come ha osservato un intellettuale russo, fine e profondo quale Sergej Averincev, hanno manifestato uno spirito di resistenza, pacifica e insieme irriducibile.
Quella resistenza è stata, in primo luogo, tenere accesa, come sotto le icone, la fiammella della fede, che è stata anche fiammella di umanità. Così si era espresso il vescovo martire Ilarion (Troickij) ai suoi compagni di prigionia alle Isole Solovki: “Bisogna credere che la Chiesa resisterà, senza questa fede non si può vivere! Se si conserveranno anche solo delle minuscole fiammelle, che brillano appena, da queste un giorno tutto ricomincerà da capo. Senza Cristo gli uomini si divoreranno l’un l’altro”.
Una resistenza in nome di Cristo e della pietà. “Senza Cristo gli uomini si divoreranno l’un l’altro”. E il Cristo russo è il Cristo kenotico, l’umile fratello degli umili, il compassionevole. Senza Cristo, senza i cristiani, la pietà viene meno. Michail Novosëlov, pensatore ortodosso russo fucilato nel 1938, scriveva dalla clandestinità ai suoi amici nel gennaio 1924: “Il ‘mistero di iniquità’ (2Ts 2, 7), che si rivela ai nostri giorni con forza eccezionale e in forme inusitate, non deve turbare i figli fedeli della Chiesa, fiduciosi nell’incrollabilità della casa di Dio… Quindi, amici miei, non affliggetevi [...], ma piuttosto stupitevi della grande sapienza del Signore, che trasforma l’opera del ‘mistero dell’iniquità’ nel trionfo del ‘mistero della pietà’”.
La vicenda dei martiri, quella della loro resistenza al male, è il trionfo del “mistero della pietà” che ha saputo arginare il “mistero di iniquità”. Il libro è pieno di vicende che rappresentano tale realtà. Basti pensare agli episodi narrati a proposito di quanto avveniva nella madre dei lager sovietici, il campo delle Isole Solovki. La presenza nei lager sovietici dei cristiani, che – ha scritto Solženicyn – hanno attraversato “l’arcipelago Gulag come una silenziosa processione con invisibili ceri”, è stata quella della pietà che ha resistito alla brutalizzazione e alla violenza. Silenziosa, invisibile, la pietà ha umanizzato anche i campi sovietici, come, tra i tanti esempi, ha raccontato un testimone riferendosi a una figura luminosa dell’ortodossia russa nel Novecento: “Padre Arsenij, quando era nel lager, entrava nella vita della gente senza farsene accorgere; aiutava i detenuti, leniva le loro sofferenze e dimostrava con la sua vita che perfino nel lager a regime duro la situazione non è così terribile se Dio è con noi”.
Vi è un altro aspetto su cui, in conclusione, vorrei brevemente soffermarmi. Il disegno di brutalizzazione della società sovietica si è manifestato anche nel tentativo di chiudere nella società lo spazio di Dio, lo spazio dello spirituale. Un tentativo perseguito con determinazione, e in alcuni passaggi con furore. C’è qui un aspetto della resistenza al male non secondario che emerge con particolare evidenza dalla vicenda dei cristiani russi: salvaguardare spazi di vita spirituale è connesso alla salvaguardia della pietà.
Il disegno di sradicamento della religione dalla società comunista era un aspetto costitutivo del progetto bolscevico di rifondazione dell’uomo e della società. Non può sfuggire all’attenzione dello studioso di storia il carattere «confessionale», «religioso», o parareligioso, del potere sovietico. Riccardi lo rileva con acutezza:
“Al di là degli obbiettivi politici della lotta alla religione, esauritisi con l’affermazione di un forte potere comunista in Unione Sovietica, esistono altri obbiettivi di tipo antropologico, ideologico e simbolico. C’è uno specifico obbiettivo «religioso», anzi antireligioso. L’URSS, malgrado la proclamata separazione tra Stato e Chiesa, non rappresenta un regime di tipo laico o separatista sul modello occidentale. Lo Stato sovietico […] è, a suo modo, confessionale, avendo una posizione ufficiale in materia religiosa, quella ateistica che rappresentava uno dei tratti decisivi della sua identità ideologica”.
L’iconoclastia che accompagnò le diverse campagne condotte contro la Chiesa è un tratto emblematico di una sorta di «mistica» della lotta antireligiosa. La distruzione delle icone, delle chiese, delle campane e degli oggetti sacri, i numerosi gesti di profanazione dei luoghi di preghiera e delle reliquie, erano espressione proprie di uno zelo di carattere religioso. La bella, e terribile, immagine della copertina del nostro libro ne rappresenta una delle pagine: quella della requisizione degli oggetti liturgici. È questo un aspetto che ritroviamo in altri contesti novecenteschi: la distruzione di luoghi di culto o di oggetti di venerazione religiosa. È avvenuto per motivi diversi, anche non propriamente antireligiosi, come nel caso delle conflitti di carattere nazionale. Tuttavia, in tutti i casi, l’obiettivo è di negare lo spazio della vita spirituale, lo spazio della preghiera, che i cristiani hanno difeso in tanti modi nella loro azione di resistenza. Anzi si può dire che proprio la concentrazione sulla liturgia non è stata un rifugio, ma una strategia di resistenza alla persecuzione sovietica. Il metropolita di Leningrado Serafim (Čičagov), morto martire durante il grande terrore, rivolgendosi ai suoi preti, alla fine degli anni Venti, aveva affermato: «Finché si celebrerà la divina liturgia, finché i credenti si accosteranno alla santa comunione, possiamo essere certi che la Chiesa ortodossa saprà resistere e trionfare, che il popolo russo non verrà inghiottito nel male del peccato, dell’incredulità, della malvagità, del materialismo, dell’orgoglio e dell’impurità, che essa rinascerà e la nostra patria sarà salva». Lo spazio della liturgia, sebbene ridotta, ha rappresentato nella Unione Sovietica di Lenin e Stalin e anche nei decenni seguenti, uno spazio di alterità in cui la vita spirituale, la bellezza, l’umanità erano salvaguardati. Uno spazio di resistenza alla realtà sovietica.
Il totalitarismo, come ha osservato Hannah Arendt, ha mirato «alla trasformazione della natura umana che, così com’è, si oppone al processo totalitario». A suo parere la sfida antropologica lanciata dal totalitarismo e resa esplicita dai campi di concentramento ha costituito la posta in gioco della storia del XX secolo: «Non è in gioco la sofferenza, di cui ce n’è stata sempre troppa sulla terra, né il numero delle vittime. È in gioco la natura umana in quanto tale». Persecuzione antireligiosa e persecuzione dell’uomo in quanto tale sono andate spesso di pari passo nell’Europa del Novecento. La difesa dello spazio della pietà e di quello della vita spirituale sono state forme efficaci della resistenza al male praticata dai cristiani, di cui le vittime della persecuzione sono state gli interpreti più eloquenti.
Questo libro ci parla di come, nel secolo più secolarizzato della storia, i cristiani non si sono ritirati in qualche angolo del mondo, ma sono stati presenti, spesso in qualità di vittime, sui tornanti decisivi e drammatici della storia, protagonisti di una resistenza mite e pacifica al male e alla violenza. Elizaveta Jur’evna Skobcova, mat’ Marija, figura particolare di poetessa russa emigrata a Parigi dopo la rivoluzione, dove divenne monaca ortodossa, morta in un lager nazista per avere accolto alcuni ebrei perseguitati nel suo pensionato per poveri a Parigi, scriveva nel 1938: “la nostra epoca senza Dio – e non semplicemente non cristiana -, il nostro tempo materialista e nichilista si rivela contemporaneamente un tempo cristiano per eccellenza, un periodo chiamato a rivelare e consolidare il mistero cristiano nel mondo… Un mattino di pena, tortura, beatitudine e liberazione. La sua luce rivela chiaramente la croce eretta sul mondo. L’uomo è inchiodato alla croce. Non è forse un’epoca cristiana?”. Il secolo del martirio è una risposta a questa domanda e una conferma dell’intuizione di questa monaca martire. |
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