| 14 Novembre 2013 |
“Quando il pane non basta”. Viaggio nelle mense della carità
|
|
C'è Davide, che dopo un passato da affarista senza scrupoli e il carcere, ha iniziato la sua “seconda vita” in via Saponaro a Milano. C'è Giuseppe che con la sua laurea in ingegneria, orgoglio della famiglia, non riesce a lavorare. E c'è anche la piccola Cristel, che con l'ingenuità dei suoi cinque anni aspetta con ansia ogni giorno di scoprire cosa si mangia nel “ristorante speciale”. E' un viaggio nelle mense della carità, che dal Nord al Sud d'Italia, danno accoglienza alle persone indigenti il libro di Alessia Guerrieri (giornalista e collaboratrice di varie testate tra cui Avvenire e Conquiste del lavoro) “Quando il pane non basta”, edito da Ancora editrice. Un rèportage che racconta i volti, i luoghi e le storie dell'Italia della crisi, dove anche i giovani con una laurea in tasca fanno la fila per un piatto caldo alla mensa dei poveri. Una testimonianza del profondo cambiamento in atto anche delle strutture assistenziali dove non accedono più solo i senza fissa dimora, ma tutte le categorie sociali che stanno pagando il prezzo della recessione: giovani, donne, anziani, stranieri e padri separati. E così oggi questi luoghi di primo soccorso sociale, non si limitano più a sfamare le persone ma rappresentano il primo approdo per aiutare a ricostruire una speranza di vita.
“Raccontare le tante realtà del Terzo settore che danno cibo agli indigenti, è come fare un viaggio in un’Italia speciale. Un’Italia in cui, da un lato, si vedono le contraddizioni della modernità: uomini in giacca e cravatta costretti a elemosinare un pasto gratuito accanto ai sempre più rari barboni di lunga data -sottolinea l'autrice -Ognuno con la sua storia triste, ognuno con il suo sguardo sopraffatto dagli eventi. Dall’altro lato, le mense dei poveri lungo lo Stivale sono anche il segno più evidente del volto buono e speciale dell’Italia, un Paese che sa accogliere, rifocillare, ascoltare, che sa fare dell’integrazione il suo progetto più riuscito. Le lingue non sono mai le stesse tra i compagni di pasto, ma basta un sorriso, un gesto o un grazie a far in modo che quel pane e quel frutto al centro del tavolino siano un bene da dividere in armonia. Anche tra estranei e tra culture diverse. Perché quello che si offre nei refettori della carità non è solo pane, ma cibo, conforto e fiducia. In fondo, le mense dei poveri non sono altro che quelle 'periferie esistenziali' evocate dal primo giorno di pontificato da papa Francesco; spazi in cui ogni persona di buona volontà dovrebbe spingersi, toccando con mano la sofferenza della carne di Gesù”. Ed è a questa Italia in crisi che l'autrice dà voce nel libro, raccontando passo dopo passo le persone che ha incontrato intorno ai tavoli delle mense.
Per molti il problema è il lavoro, come raccontano Laura e Giuseppe, che da un anno in cassa integrazione ora fanno la fila con la figlioletta per poter mangiare ogni giorno. “Stavamo pensando al secondo figlio, ma ci sentiamo già in colpa di costringere Cristel a questa vergogna – raccontano nel libro- È solo una bambina e non lo merita”. Quando crescerà sarà difficile dirle bugie, “l’unica verità che sapremo raccontarle è che abbiamo sempre lavorato onestamente, senza scorciatoie, finché il lavoro c’era”. Ma il libro “dà voce anche a milioni di famiglie che si sentono dimenticate -sottolinea Andrea Riccardi , fondatore della comunità di Sant'Egidio e d ex ministro dell'Integrazione, nella prefazione al volume – . Oggi può diventare un nuovo povero chi ha in casa un malato cronico da curare; chi perde il lavoro a cinquant’anni per un’improvvisa crisi aziendale; chi ha una pensione che non si adegua al costo crescente della vita; chi si trova ad affrontare una separazione matrimoniale e, dopo aver pagato gli alimenti al coniuge e ai figli, non riesce più a condurre un’esistenza dignitosa; chi invecchia e non riesce più a vivere con la sua pensione e magari ha a carico un figlio o un nipote”. “Storie di equilibristi sul filo della vita”, le definisce invece il direttore del quotidiano “Avvenire”, Marco Tarquinio: “Quando hai un lavoro sicuro, un discreto conto in banca, una casa tutta tua, genitori in gamba e la salute ti sorride, allora il filo è un cavo grosso e robusto, meglio ancora un muretto dal quale non puoi cadere -scrive nella postfazione al libro – Ma negli ultimi anni per molti italiani quel muro, quel cavo, si sono assottigliati fino a diventare un filo sottile. Troppo sottile. Alcuni cadono, e non li vedi più”.
"leggi l'articolo originale>>"
|
|
|