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7 Marzo 2000

Il Comune di Rimini ha conferito la cittadinanza onoraria al Prof. Andrea Riccardi

 
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Riportiamo qui di seguito i discorsi pronunciati nel corso della cerimonia dal Sindaco di Rimini, dott. Alberto Ravaioli, dal Prof. Jean Dominique Durand e dal Prof. Andrea Riccardi.

 

Discorso del Prof. Andrea Riccardi.

Rimini, 7 marzo 2000

 

Signor Presidente del Consiglio Comunale,
Signor Sindaco,
Signori consiglieri,
Monsignor Vescovo,

 

 ringrazio il Sindaco e il Consiglio Comunale dell'onore di concedermi la cittadinanza onoraria di Rimini. E' un gesto che risveglia in me l'affetto, mai sopito ma che ha avuto poche occasioni di espressione, per questa città. Mi riporta indietro a tempi lontani della mia infanzia e della mia prima giovinezza, tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta. Mi riporta a una Rimini che non esiste più o forse mai esistita, solo percepita e deformata nelle immagini di un bambino e di un adolescente, in una specie di modesto e di banale Amarcord.

Un Amarcord poco interessante nella patria del vero Amarcord: storie minute di scuola,  di piccole scoperte del mondo, amicizie, di visioni di un mondo cosmopolita che si affacciava a Rimini, non attraverso la televisione. Per un ragazzo venuto da Roma (e in quegli anni attento a spiegare ai suoi compagni che il romano non era un meridionale, ma pure che a Roma si lavorava, cosa questa specialmente che ricordo difficile da far passare), era anche la scoperta di Rimini come una città moderna in un'Italia provinciale o paesana, qual era una buona parte dell'Italia di allora. Era una città già moderna in un tessuto nazionale che non era tale. Non moderna solo per il bambino che ero e si vedeva crescere di fronte alla casa dove abitava un grattacielo, il che mi stupiva…

Era una città moderna per la sua cultura del lavoro, per il senso del rischio che si coglieva nella vita: almeno tali erano i frammenti della vita che percepiva un ragazzo ogni giorno e nel mondo familiare, quello di un figlio del direttore di una banca credo ancora prospiciente sulla piazza dove siamo, che sentiva parlare della vita economica riminese. Questa cultura del lavoro, fatta di rischio, di senso dell'impresa, che non era solo di qualcuno, ma un po' il clima di una società e stupiva che invece veniva dalla cultura del posto fisso.

Ma c'era un altro aspetto, quello del carattere aperto e cordiale, di una città strana per le sue trasformazioni: era città d'inverno e non un vuoto dormitorio; ma si risvegliava dall'inverno, popolandosi di turisti di tutti i tipi e diventava larga, popolosa, poliglotta, piena di stranieri, come una finestra sul mondo. Questo sì, anche allora lo percepivo era un po' la caduta delle frontiere.

Abbozzo questi ricordi, un po' vergognoso, solo per dimostrare quanto l'onore che mi è stato fatto abbia risvegliato in me un mondo di sentimenti e di ricordi, per dire ancora la molta gratitudine per questo atto che avete avuto la bontà di compiere. Ma indubbiamente percepisco quanto siamo ormai lontani da quel mondo, non fosse per la fine di un Adriatico diviso in due che oggi è tornato un lago, di un'Europa divisa in due, di una condizione nuova che ci investe, come gente che vive un rapporto diverso tra la propria terra e il mondo intero.

Credo di dover ringraziare il Sindaco e il Consiglio Comunale perché questo riconoscimento non si rivolge tanto alla mia persona né al mio smarrito passato riminese, quanto all'opera che la Comunità di Sant'Egidio ha compiuto. Infatti le motivazioni della cittadinanza riguardano un impegno che non sarebbe stato possibile senza la Comunità, anzi che nasce da un vissuto comune. Ringrazio i tanti che hanno voluto unirsi a questa festa. Mi corre, allora, l'obbligo di ringraziare il prof. Jean Dominique Durand, caro amico e illustre collega, che mi ha fatto parlare su Roma, Sant'Egidio e il mondo, vincendo con la sua intelligente tenacia il mio riserbo. Il suo discorso mi esime dal parlare ancora della storia e del lavoro della Comunità di Sant'Egidio.

Solo un'osservazione vorrei fare. Nell'esperienza di Sant'Egidio, il fondamento evangelico e cristiano è stato un lievito di una fraternità di donne e di uomini, i quali non hanno considerato definitivi i muri e le frontiere. Un lievito di umanità che continuamente agisce nei cuori e nella vita.

Questo riguarda la lotta alla povertà e la solidarietà con i più deboli che ha accompagnato la Comunità di Sant'Egidio sino dal 1968: la distanza sociale non allontana, ma avvicina. Ricordo la Roma degli anni Settanta, dove c'erano ancora angoli da Terzo Mondo. Era l'altro volto di Roma, capitale, città sacra, città dolorosa. Il rapporto con i poveri è stato scuola per un'esistenza che non vuole mettere confini alla responsabilità e all'amore. Lo è ancora in tutte le nostre Comunità che sono ormai in più di 35 paesi, tutte formate di gente del luogo e che formano una fraternità di donne e di uomini senza frontiere.

Dalla solidarietà con i poveri e i mondi poveri viene la nostra attività a livello internazionale, il cui capitolo più noto è quello del Mozambico: la pace tra governo e guerriglia, firmata a Sant'Egidio con la nostra mediazione, che ha posto fine a una guerra che ha prodotto un milione di morti. Questo Mozambico, dove abbiamo 21 comunità, dove stiamo intraprendendo un programma di cura dell'AIDS, è tornato di nuovo alle cronache con una dolorosa catastrofe naturale. Ripropone, sulle soglie del 2000, l'irrisolto problema di un'Africa che non può essere estraniata dal nostro mondo e dalla nostra civiltà.

Perché, oltre che di problemi umanitari, occuparsi di pace? Che titolo ne abbiamo? Mi sono convinto che in questo nostro tempo, specie dopo l'89, in cui tanti fanno la guerra, in cui terribili armamenti circolano facilmente, c'è una possibilità: se tanti possono fare la guerra, anche tanti possono fare la pace. Così per noi, il Mozambico, l'Algeria, il Guatemala, il Burundi, il Kossovo… Ruoli diversi, risultati differenti, ma una convinzione profonda. La responsabilità di essere soggetti in un mondo divenuto grande, ma anche estremamente conflittuale.

In questo mondo un altro aspetto, fortemente connesso al tema della pace, è quello del dialogo tra religioni e civiltà, che ci vede impegnati da molti anni, in particolare dal 1986, a partire dalla grande intuizione di Giovanni Paolo II, quando invitò nella città umbra i leaders delle grandi religioni mondiali. Le religioni - lo abbiamo visto nella ex Iugoslavia, in Indonesia e altrove - possono essere un elemento che rafforza le identità in conflitto; eppure nel cuore di quasi tutte, c'è un messaggio di pace. Possono essere, d'altra parte, un grande ponte di dialogo e di pace. Nel dialogo tra le religioni e le civiltà emerge con forza quella vocazione alla pace che fa parte della grandi tradizioni religiose e che è l'aspirazione profonda dei più.

In questo mondo, divenuto molto grande, globalizzato e unificato, è facile veder sprofondare gruppi o popoli nella tentazione identitaria, nel fondamentalismo nazionalista o religioso, per reagire e chiudersi davanti a orizzonti larghi e  invadenti, in quella cultura del nemico che è un rifugio tradizionale. Qui c'è una responsabilità che sentiamo viva e profonda, che è scritta nei cromosomi dell'avventura di fede e fraternità che viviamo.

Del resto siamo entrati tutti, come condizione umana, in un tempo in cui si vive non solo nella propria terra ma, per la realtà del villaggio globale, a contatto con mondi lontani, con problemi acuti. Almeno dal punto di vista dell'informazione, siamo tutti sulla frontiera del mondo: tra casa nostra e il mondo intero. Penso alla tragica storia della guerra nella ex Iugoslavia di cui, per anni, siamo stati testimoni in presa diretta, vicini geograficamente e lontani. Dal contatto nasce spesso quella cultura dell'impotenza ingenerata dal veder tutto, dal sapere tanto, ma anche dal far poco, dal pensare di non potere molto.

Se qualcosa si può dire di Sant'Egidio è la frattura di questa cultura dell'impotenza o della deresponsabilizzazione anche sulle frontiere del mondo. Infatti c'è un blocco da vincere: il pensare di non potere niente. L'uomo contemporaneo, che vive tra casa sua e il mondo senza frontiere del virtuale, deve maturare una coscienza di responsabilità larga. Una comunità umana, una comunità religiosa, una città, possono molto: possono farsi soggetto di relazioni umane e internazionali, di dialogo, di incontro, di scambio e di pace. Un marcata soggettività e responsabilità sulle frontiere del mondo è una chance di ogni comunità umana in questa nuova stagione che stiamo vivendo. E' il coraggio di investire cultura, risorse, relazioni, solidarietà, su frontiere che sembrano lontane. Questo coraggio è la forza della nostra Europa, quella di non vivere chiusa in se stessa e per se stessa. E' la sua storia migliore, pur con le sue cadute e contraddizioni.

E' per me una visione della vita. Una visione stessa della politica da rinnovare. Questo rinnovamento mi spinge a guadare con speranze anche al nostro futuro, a quello di un mondo europeo che non è destinato a una dorata marginalità, a quello di un mondo largo -specie quello del sud- e sofferente, alle situazioni più difficili

Ritornando a Rimini, dopo un lungo viaggio, tra Roma, Assisi, il sud del mondo, a contatto anche con sofferenze acute, con la tentazione della disperazione e quella conseguente del disinteresse, mi sento di dire che sono nelle nostre mani grandi possibilità, se avremo la generosità di pensarci alla grande.

Il vecchio e saggio patriarca Atenagora, uno dei più grandi cristiani del Novecento, diceva: "Tutti i popoli sono buoni. Ognuno merita rispetto e ammirazione. Ho visto soffrire gli uomini. Tutti hanno bisogno di amore. Se sono cattivi, è forse perché non hanno incontrato il vero amore, quello che non spreca parole, ma irradia luce e vita. So pure che esistono forze oscure, demoniache, che a volte si impossessano degli uomini, dei popoli. Ma l'amore del Cristo è più forte dell'inferno. Nel suo amore troviamo il coraggio di amare gli uomini e veniamo a scoprire che, per esistere, abbiamo bisogno che tutti gli uomini e tutti i popoli esistano."

 

Andrea Riccardi

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Saluto del sindaco di Rimini. 

Rimini, 7 marzo 2000

 

Professor Riccardi
Professor Durand
Gentili ospiti

 

"Ci vuole un paese dentro", scrive Cesare Pavese indicando la necessità che ognuno di noi ha di sentirsi a proprio agio in un luogo, in un paesaggio; di sentirsi a casa anche se quella non è la propria città o la propria casa.

Oggi, con la cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria di Rimini al professor Andrea Riccardi, la città di Rimini tenta di dare spessore ad una affermazione che è universale. Ognuno di noi ha, nel profondo del cuore, un paese, un luogo, dei ricordi. E forse proprio per questo il ritornare del professor Riccardi a Rimini, sulle rive dell'Adriatico dove ha trascorso gli anni dell'adolescenza prima di trasferirsi a Roma, non è mai cessato.

Rimini - e lo dice un riminese che non è nato qui - è una città che ti resta dentro per la sua originalità, per la sua capacità di essere sempre uguale eppure sempre così diversa, per il suo essere paese ed al tempo stesso metropoli.

Ci sono pagine bellissime che raccontano Rimini, affreschi di una città capace di cambiare pelle pur senza perdere le proprie caratteristiche: il mare e la marina, il centro storico, i viali che portano alla spiaggia… "Le città dai nomi così perfettamente turistici - scrive Pier Vittorio Tondelli nel suo romanzo dedicato a Rimini - appaiono come una lunga serpentina luminosa che accarezza il nero del mare come il bordo in strass di un vestito da sera… Quella strada che per chilometri lambisce l'Adriatico offrendo festa, felicità e divertimento… ecco, quella scia di piacere segna il confine fra la vita e il sogno di essa, la frontiera tra l'illusione luccicante del divertimento e il peso opaco della realtà… Se qualcuno avesse percorso in tutta la sua lunghezza quella strada, senza uscirne mai, avrebbe forse veramente vissuto il sogno…".

Probabilmente non è questo il luogo e il momento per un elogio della riminesità e dei suoi caratteri fondanti, vista la levatura internazionale del personaggio che oggi abbiamo come ospite d'onore. Ma credo che questo breve "amarcord" possa essere gradito anche dal professor Riccardi che ha vissuto a Rimini in un periodo che è passato alla storia come quello della grande rinascita, dell'esplosione del fenomeno turistico: un periodo che ha segnato la grande volontà della nostra città di raggiungere una dimensione europea.

Rimini città europea, capitale europea del turismo, concede oggi la cittadinanza onoraria ad un uomo che tanto ha fatto e fa per la pace nel mondo. La comunità di Sant'Egidio, di cui Andrea Riccardi è stato iniziatore nel 1968, è oggi uno degli esempi più belli e significativi di come la cultura cattolica possa aprirsi alle altre religioni in uno spirito di vero ecumenismo e di come, da questo ecumenismo, possano nascere iniziative di pace e di solidarietà che non hanno eguale in tutto il mondo.

Studioso, uomo di cultura e di pace, il professor Andrea Riccardi è senza dubbio uno dei grandi personaggi di questi anni di storia italiana, e la città di Rimini non può che essere orgogliosa dell'affetto che lui nutre per la nostra realtà.

Mozambico, Albania, Kurdistan, Algeria: sono solo alcune delle tappe che hanno visto Andrea Riccardi come mediatore e portatore di pace, come protagonista di "momenti storici". Penso - per limitarmi ad un esempio - alla grande preghiera interreligiosa del 1986 ad Assisi, e all'ultimo grande incontro ecumenico organizzato a Bucarest, lo scorso anno, alla presenza del Papa.

Ha scritto Arrigo Levi a proposito di quest'ultimo incontro: "E' uno di quei risultati sorprendenti che Sant'Egidio spesso ottiene, con astuzia e innocenza, e con l'arma tenace del dialogo".

Mi ha affascinato, guardando questa mattina il sito Internet di Sant'Egidio, il titolo di un libro dedicato alla comunità: "Il sapore dell'utopia". Ecco, in quella frase si racchiude come forse meglio non si potrebbe uno spirito, un modo di pensare, una capacità di elaborazione culturale. L'utopia è, in fondo, un modo di essere, di guardare avanti con la consapevolezza che ci sono obiettivi quotidiani da raggiungere, per i quali impegnarsi e lottare; ma è anche la convinzione che servono salti in avanti, una capacità progettuale capace di guardare oltre il contingente, la volontà di accettare sfide alle quali, probabilmente, non si era neppure mai pensato. Ognuno di noi è quotidianamente chiamato ad affrontare queste sfide, nel lavoro, nella professione, nell'impegno sociale, e lo deve fare con la consapevolezza che il ruolo che ricopre - qualunque esso sia - non può essere fine a se stesso ma deve essere finalizzato a qualcosa di più alto: al raggiungimento di obiettivi che a prima vista possono anche apparire impossibili.

Ringrazio il Consiglio comunale per avere accettato con entusiasmo la proposta mia, dell'assessore alla cultura Stefano Pivato e dell'intera giunta di assegnare la cittadinanza onoraria al professor Andrea Riccardi.

Con il riconoscimento che oggi viene consegnato al professor Riccardi, Rimini vuole dire anche questo: che c'è da qualche parte nel mondo, dovunque si trovi per espletare la sua missione di pace, c'è un "riminese dentro" che lotta e si impegna perché il domani sia migliore.

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Discorso del Prof. Jean Dominique Durand.

Rimini, 7 marzo 2000

 

Egregio Signor Sindaco,
Egregio Presidente del Consiglio Comunale,
Signore e Signori Consiglieri e Assessori,
Eccellenza,
Illustri Ospiti,

1. Devo dapprima ringraziare le Autorità di Rimini per avermi scelto per partecipare a questa bella cerimonia solenne in onore del Professor Andrea Riccardi, per illustrare la cittadinanza onoraria che gli è stata conferita. Per me, è un onore; è soprattutto una gioia profonda che mi mette in comunione con gli amici di Sant'Egidio.

2. Chi è l'uomo onorato stasera ?

È un uomo di preghiera e di azione, un uomo di meditazione e uno studioso di ampio respiro, un uomo di dialogo, un uomo di pace, un uomo conosciuto nel mondo intero, che ha già ricevuto tanti premi ed onorificenze.

Per ragioni di comodità, abbiamo bisogno di riconoscere più particolarmente una personalità. Ma dietro questa personalità, c'è un gruppo, una comunità e quando rendiamo omaggio ad Andrea Riccardi, sappiamo che rendiamo omaggio difatti a tutta una comunità, presente a Roma e nel mondo, la Comunità di Sant' Egidio.

È impossibile separare la persona Andrea Riccardi dal procedimento comunitario. So che lui non è pronto ad accettare una qualsiasi forma di culto della personalità. Sappiamo bene che Sant' Egidio non si riduce a una personalità, e la recentissima elezione di Mons. Vicenzo Paglia all'episcopato lo conferma. Ma nello stesso tempo è evidente che ha avuto, nella creazione e nei primi passi della comunità e nella sua evoluzione, un ruolo essenziale, insostituibile. Quindi il mio intervento sarà fatto di un viavai continuo tra Andrea Riccardi e le sue intuizioni e tutta una comunità, cioè un gruppo complesso di donne e uomini e la loro operosità generosa.

3. Dall'ormai lontano '68, tutta la vita di Andrea Riccardi si è sviluppata a partire da un triplice radicamento per tendere verso una triplice apertura. Propongo di osservare questo triplice radicamento in una città, Roma, nella storia e nel Vangelo e poi di analizzare le tre aperture alla pace, al dialogo religioso, a una spiritualità comunitaria.

4. Il radicamento dell'azione di Andrea Riccardi e della Comunità di Sant'Egidio si fa nella città, nella città di Roma. Ma quale Roma? Dapprima, essenzialmente, la Roma della povertà, delle marginalità, la Roma di Pasolini, la Roma delle borgate, questo mondo così originale, unico nel paesaggio della periferia delle grandi città europee: un mondo originale, fatto dagli immigrati del Sud, che formavano un insieme umano e sociale particolare. In questo mondo delle borgate, la casa, la scuola, la salute, l'acqua, i trasporti, erano i problemi principali. Da questa esperienza è uscito un piccolo libro, Vangelo in periferia, la cui rilettura offre un po' di freschezza. Oggi le cose sono molto cambiate. Le borgate sono inserite nel tessuto urbano, e in un certo senso, si sono un po' imborghesite. Ma la povertà, la marginalità restano, anche se si sono accentuate sotto altre forme e in altri luoghi, al centro stesso della città.

Ma questa Roma, è anche l'Urbs, la Roma del vescovo, che è il Papa. Conosciamo l'importanza dell'incontro col papa Giovanni Paolo II che si è cosi impegnato nella Sua diocesi, moltiplicando le visite pastorali facendo il vescovo come nessuno dei suoi predecessori ha mai fatto. Roma è anche la capitale della cattolicità, cioè una città universale. L'inserimento di un'azione a Roma significa l'incontro con l'Altro, con lo straniero, con il povero, il debole, ma soprattutto l'incontro come impegno nel dialogo, partecipando alla vocazione della Chiesa di Roma nelle sua dimensione locale e universale. L'inserimento della Comunità a Trastevere, vecchio quartiere popolare, vicino alla Sinagoga, contribuisce a tradurre una ricerca dell'apertura attraverso l'inserimento nella città.

5. L'azione di Andrea Riccardi si radica nella storia. È uno storico di grande rilievo, autore di libri importanti, diventati poi dei classici. Specialista in un primo tempo di storia religiosa della Francia dell'Ottocento, si è trasferito poi sulla storia religiosa dell'Italia del Novecento e della Chiesa.

Ma soprattutto la storia è per lui, e per altri nella comunità, una strada per capire i problemi odierni. "La storia è liberatrice", ha detto giustamente perché protegge dall'ideologia, dal fanatismo e dà il senso della complessità che apre alla libertà dell'azione. La conoscenza storica conduce a riflettere sull'uomo, sulla sua presenza nel mondo, aiuta a misurare il tragico del suo destino.

6. Andrea Riccardi inserisce la sua azione nel rifiuto, in un "NO" gridato in faccia alla povertà, all'ingiustizia, alla violenza, che radica nella sua lettura del Vangelo, un Vangelo letto dapprima, giovane, da solo, poi meditato in gruppo, e sempre riletto e rimeditato. Diceva recentemente che il cristiano del terzo millennio sarebbe stato "un uomo di pace, un uomo evangelico che dovrà tornare alle radici", cioè al Vangelo. Lui crede, l'ha scritto, nell' "utilità dell'ira", ma a condizione che si tratti di un'indignazione evangelica.

7. Laico romano, che riflette sulla storia come destino della persona umana, che legge e medita il Vangelo, Andrea Riccardi è pronto ad assumere queste aperture che caratterizzano così bene la comunità di Sant' Egidio.

La prima apertura è verso una spiritualità comunitaria. Nel 1980, Giovanni Paolo II si rivolse così alla Comunità: "Avete trovato il cammino, un cammino molto semplice e puramente evangelico per vincere questa rassegnazione alla mancanza di un punto di riferimento centrale per la vita umana: avete capito che bisogna cercare un altro uomo, che bisogna trovare una comunità che dia la speranza e la solidarietà: queste sono due parole che sembrano molto significative della vostra spiritualità. Speranza e solidarietà sono parole molto simili, l'uomo è chiamato a ritrovare se stesso tramite una comunione con gli altri, tramite la solidarietà con gli altri".

Tutta Sant' Egidio sta in questa definizione: l'azione comune, l'accoglienza di tutti, dell'amico o del nemico, dello straniero, dei deboli, qualsiasi sia la causa della debolezza (età, malattia, disabilità ...), e soprattutto la preghiera, cioè la lectio divina, l'atto fondamentale, direi fondatore, ripetuto in comune ogni sera.

8. Questa spiritualità comunitaria, fondata sulla preghiera, invita all'impegno per la pace.

"Signore nostro Dio,
rendici degni della Tua pace",

così recita una delle preghiere più importanti, la Preghiera per il segno di pace.

Questa pace è la pace personale :

"Se hai qualche dissidio con qualcuno
prima di venire a questa santa mensa,
torna indietro e chiedi la pace,
a colui che ora è in lite con te",

dice il canto d'introduzione alle cerimonie di Sant'Egidio. La pace è quindi la pace di Cristo, è la pace sociale, la solidarietà con i poveri e con i popoli poveri. Così si passa dall'aiuto portato al barbone, al malato di Aids abbandonato da tutti, all'anziano dimenticato, all'azione di pace internazionale perché, come dice Andrea Riccardi, "la guerra è madre di ogni povertà".

Il legame tra la pace e la povertà è per lui fondamentale e l'impegno per la pace è legato alla preghiera.
Non posso qui evocare tutte le azioni di Sant'Egidio a favore della pace, dal clamoroso accordo sul Mozambico dell'ottobre 1992, una strada tormentata, fatta di successi e di insuccessi. Sarebbe utile stabilire una tipologia degli impegni :

  • la distribuzione dei panini,

  • il doposcuola, le mense, l'aiuto a domicilio, le case per anziani,

  • l'intercessione per far vivere insieme nella periferia comunità diverse, per rassicurare gli uni e gli altri,

  • la costruzione di scuole e di ospedali, l'apertura di luoghi di accoglienza,

  • la partecipazione a negoziati per mettere fine a situazioni di guerre civili,

  • la lotta contro la pena di morte vista come un'aggressione e un turbamento della pace di Dio.

Già questo breve elenco dice tanto sulla diversità degli impegni con la loro parte di disillusioni, di insuccessi. Ma Sant'Egidio appare nel nostro mondo come un vero distributore di speranza. Introduce la nozione di pace a ogni livello: il rigetto del barbone o dell'anziano dalla società e la guerra appartengono alla stessa categoria, l'uno e l'altra rompono l'armonia del mondo e l'ordine naturale. Le risposte non saranno le stesse, ma ubbidiranno agli stessi princìpi, allo stesso andamento. Questa è l'intuizione fondamentale di Andrea Riccardi e dei suoi amici. Sono uomini di fede, e sono convinti che la pace comincia con il dialogo delle religioni.

9. L'apertura al dialogo interreligioso identifica la Comunità di Sant'Egidio, che ha ripreso lo spirito voluto da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986 : è tutto il cammino di Uomini e Religioni, che da Roma nel 1987 a Genova nel 1999, anno dopo anno, ha percorso la strada dell'incontro, sempre più aperto, tra le grandi religioni e particolarmente tra le religioni cristiane. Impressionante è l'elenco delle personalità religiose e laiche che hanno partecipato e aperto un dialogo approfondito. L'incontro di Bucarest, nel 1998, seguito l'anno dopo dal viaggio del Papa, fa parte degli incontri più significativi dello spirito di Assisi che Sant'Egidio intende mantenere vivo.

Affermare che la religione è fattore di pace è una scommessa che va contro l'opinione comune, e spesso contro la realtà dei fatti. Quante guerre fatte in nome di Dio! Si tratta qui di sottolineare, secondo il metodo di papa Roncalli ciò che unisce per lasciare da parte ciò che divide. Metodo rivoluzionario, in rottura con tanti anni e secoli di conflitti, di sfiducia, di odio! Metodo portatore di tanta speranza.

10. Andrea Riccardi pensa che, lo cito, "il grande rischio che corrono le esperienze comunitarie, è il settarismo che conduce a vivere rinchiusi in se stessi e a sentirsi quasi il Messia, o credere di essere stati investiti dal Vangelo. Per evitare questo, bisogna conoscere esperienze diverse, e arricchirsene".

Questo è forse l'aspetto più significativo: la diversità delle esperienze. Sant'Egidio è una realtà multidimensionale che passa in permanenza dal locale al mondo, dalla preghiera cioè dall'atto religioso fondamentale, all'azione cioè alle mense popolari come al dialogo interreligioso. Sant'Egidio è frequentato dai barboni come dagli ambasciatori e dai capi di Stato. È lo stesso volto della preghiera nel suo compimento, cioè la ricerca della pace.

Il grande filosofo Jacques Maritain parlava della missione del cattolicesimo come "portatore di cooperazione tra i popoli". Riprendendo la formula, si può dire che Andrea Riccardi è un portatore di pace all'interno dei popoli e tra i popoli.


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