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Milano: La celebrazione del 40° della Comunità di Sant'Egidio


 
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Milano: lo scorso 5 febbraio si è celebrata nella Basilica di S. Ambrogio, la liturgia di ringraziamento per il 40° anniversario della Comunità di Sant'Egidio, presieduta dal Card. Dionigi Tettamanzi.


Pubblichiamo di seguito alcune immagini e l'omelia del cardinale.

Il regno di Dio è in mezzo a noi

Carissimi amici, fratelli e sorelle nel Signore, 
 a tutti e a ciascuno di voi rinnovo il mio saluto, auguro l’amore di Dio e dico la mia gioia per questa comune celebrazione dell’Eucaristia.
Vorrei con voi riascoltare le parole con cui un Papa ha dato alla Chiesa e al mondo l’annuncio di un evento spirituale di eccezionale importanza.
“Accade di dover constatare che l'episodio evangelico delle turbe chiamate a seguire il Signore e ad accostarsi a Lui, ma incapaci ed impotenti a trovarsi il cibo nutriente della grazia, si rinnova e tocca il cuore ansioso del pastore. Pochi pani: pochi pesci: «quid sunt inter tantos?». Con questo accenno è detto tutto: quanto ad un incremento di energie, di coordinazione di sforzi individuali e collettivi atti a produrre, con l'aiuto del Signore, una coltivazione spirituale intensa, per una produzione più copiosa e felice di frutti benefici e santi nel senso dell'«adveniat regnum tuum», in un fervore di vita parrocchiale e diocesana più feconda”.
Con queste parole rivolte al Collegio cardinalizio presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura il 25 gennaio del 1959, cinquant’anni fa, il beato Giovanni XXIII annunciava l’indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II. “Venerabili Fratelli e Diletti Figli Nostri! Pronunciamo innanzi a voi, certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito, il nome e la proposta della duplice celebrazione: di un Sinodo Diocesano per l'Urbe, e di un Concilio Ecumenico per la Chiesa universale” (Giovanni XXIII, Allocuzione ai Cardinali, S. Paolo fuori le Mura, 25 gennaio 1959).

Dal fuoco dello Spirito la nascita di una comunità

Neanche dieci anni dopo, come frutto già maturo del Concilio, nasceva a Roma la Comunità di S. Egidio: frutto maturo di una Chiesa che desiderava guardare con ottimismo cristiano e con umana simpatia al mondo contemporaneo, essere segno di speranza e di gioia, e senza nulla togliere alla “fiaccola della verità cattolica - sono ancora parole di papa Giovanni - mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati” (Giovanni XXIII, Discorso di apertura del Concilio Vaticano II, Basilica Vaticana, 11 ottobre 1962).
Da questo fuoco dello Spirito, che è stato l’evento del Concilio, è divampata e si è sviluppata negli anni, in tante parti del mondo, la Comunità di S. Egidio. Anche qui nella nostra Diocesi Ambrosiana sono molte le parole di Vangelo cui avete cercato con impegno e costanza di dare carne, passione e vita. E sono le parole che, con immagini suggestive e coinvolgenti, parlano del regno di Dio: luce, seme, lievito, rete…
Avete cercato di essere luce di fraternità e comunione tra le Chiese e le religioni: penso, in particolare, ai due incontri di “Uomini e religioni” tenuti a Milano nel 1993 e nel 2004; seme abbondante e fecondo di carità e di bene per i poveri, gli anziani, i ragazzi e i malati; lievito nascosto e potente di pace per l’integrazione degli ultimi, degli immigrati e dei deboli nel tessuto della società civile; rete paziente e tenace di dialogo tra i nemici, i distanti e gli indifferenti.
Oggi, insieme, di tutto questo desideriamo rendere grazie a Dio: da lui in realtà viene ogni forza di bene; fare memoria dell’incanto e dell’ispirazione degli inizi, per ravvivare il dono dello Spirito e rinnovare la nostra coraggiosa docilità alla sua voce; affidare alla sua misericordia onnipotente ogni nostra debolezza e fragilità, perché nel male del nostro peccato e del non amore Dio possa riversare con maggiore abbondanza i fiumi della sua tenerezza e aprirci così ad essere uomini di profonda, autentica e cristiana compassione.

Le letture che abbiamo ascoltato suggeriscono tre vie su cui proseguire con fiducia per un nuovo tratto di cammino: il nutrimento celeste della Parola, la povertà sovrabbondante del banchetto, la gioia multietnica del Regno.
 
Il nutrimento celeste della Parola

La comunità di Sant’Egidio è nata per ascoltare e mettere in pratica il Vangelo. E’ questo il suo principio ispiratore e il suo incrollabile fondamento. A questa fedeltà ecclesiale alla parola di Dio sono ancorate la freschezza, la fecondità, il carisma della Comunità. Il Vangelo ne è il cuore, la preghiera il respiro: nessuna opera di carità e di cura per il povero può sostituirsi al Vangelo e alla preghiera. Dall’intensità dell’ascolto e della contemplazione dipende il fuoco della carità e del servizio.
Sant’Ambrogio - ed è bello ricordarlo nella basilica in cui riposano le sue spoglie – nel suo commento al brano della moltiplicazione dei pani così scrive: “Dopo che gli Apostoli furono destinati a dare il lieto annunzio del Regno di Dio, viene distribuito l’alimento della grazia celeste. Ma nota bene a chi è distribuito. Non agli sfaccendati, (…) ma a quanti cercano Cristo nel deserto; proprio coloro che non ne hanno noia sono accolti da Cristo, e il Verbo di Dio parla con essi, non di questioni terrene, ma del Regno dei cieli” (Esposizione del vangelo secondo Luca VI, 69).
La parola di Dio è dunque quel pane celeste di cui siamo poveri e bisognosi, è quel nutrimento della vita che dobbiamo instancabilmente cercare nel deserto del cuore e della storia, resistendo alla noia delle passioni tristi; è la sorpresa sempre nuova e affascinante di essere noi coloro che vengono accolti da Cristo, interpellati da lui, aperti alla visione inimmaginabile del Regno dei cieli. Così, nell’immersione fedele e combattuta nella parola di Dio giorno dopo giorno, anno dopo anno, possiamo un poco entrare nello stesso modo di pensare e di sentire di Dio: in quei pensieri, in quei sentimenti, in quelle vie che tanto sovrastano le nostre e tanto ci aprono ai disegni del cielo (cfr. Isaia 55,8-9). Mai come oggi il mondo ha bisogno di profeti! Di profeti veri, umili e grandi!

La povertà sovrabbondante del banchetto

Ci siamo brevemente soffermati sul pane che viene moltiplicato, ma ora vorrei tornare un passo indietro e riflettere sull’indigenza che precede il miracolo, sulla santa povertà di cui Dio si serve per compiere i suoi prodigi.
Come ci ha ricordato Benedetto XVI (cfr. Omelia nella Solennità della SS. Madre di Dio, Basilica Vaticana, 1° gennaio 2009), ci sono  due forme di povertà: c’è una povertà umana, le cui forme oggi si moltiplicano e si aggravano, che è assolutamente da combattere; ma c’è anche una povertà evangelica, che è da perseguire come ideale di vita: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Matteo 5,3). E’ la prima beatitudine, che di tutte le altre è sintesi e vertice.
Solo con la povertà di spirito è possibile guadagnare agilità evangelica e passare per la cruna nel Regno dei cieli. E forse solo chi ha questa povertà di spirito, anzitutto nei confronti di se stesso prima ancora che dei propri beni - come di uno che non appoggia su di sé la propria gioia, solidità e sicurezza –, solo chi ha questa beatitudine è capace di reale apertura, di vera accoglienza, di ospitalità conviviale.
 Sento forte, in questi tempi, il bisogno di rispolverare parole la cui dimenticanza ritengo sia all’origine della crisi che stiamo affrontando: amo parlare insieme di sobrietà e solidarietà. A dire che la sfida non è alla radice questione di economia, ma di etica; non di investimenti, consumi e strategie, ma di un rinnovato stile di vita. Certo questo è un discorso umano su cui tutti gli uomini di buona volontà, alla luce della ragione umana e della giustizia, possono convenire; tuttavia come cristiano e come vescovo il mio sguardo è chiamato a spingersi più in profondità, ad entrare nello spazio del mistero.
Sì, è alla luce del mistero di Gesù - di colui che ha scelto di farsi povero per arricchire la nostra umanità, di colui che si è spogliato di se stesso non considerando un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio per entrare in solidarietà salvifica con la nostra natura umana – che posso scorgere nella povertà “cristiana”, cioè nella povertà stessa di Cristo, l’origine e la sorgente di ogni vera solidarietà e sobrietà e la chiave di volta per uno sviluppo integrale e armonico della persona umana e della società civile.
E’ nella povertà riempita dal dono di Dio che la folla del Vangelo può sperimentare una nuova solidarietà: divenire popolo precisamente nella logica del dono di sé e dell’apertura ospitale all’altro.

La gioia multietnica del Regno

Il profeta Isaia, nella lettura che è stata proclamata (55,1-11), ci ha ricordato che non sono le circostanze storiche, la penuria di beni e la facilità dei mezzi di trasporto a generare quella società multietnica che, nonostante la diffusa e stolta miopia che si rifiuta di riconoscerne la realtà, già caratterizza, e sempre più e senza via di ritorno, le nostre città e i nostri paesi.
In realtà è il Figlio di Davide, è Gesù quella calamita che attira a sé le genti e i popoli che non si conoscevano e tutti li fa sedere, ordinati e festosi, all’unico banchetto. Come cristiani non possiamo non riconoscere in questo convenire di etnie un segno del compiersi evangelico dei tempi. Un segno che è un compito – certo impegnativo ma irrinunciabile -, una sfida incandescente che fa tremare le vene e i polsi, ma di più fa appassionare i nostri animi. Non siamo dei poveri illusi, perché la lucida consapevolezza delle difficoltà, delle resistenze, delle divisioni ci è drammaticamente presente. Davanti ai nostri occhi sono però ancora più forti e persuasivi la visione del regno di Dio, il preludio evangelico della moltiplicazione dei pani, l’attrazione universale del Signore crocifisso e risorto (“Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”: Giovanni 12,32), il miracolo ecclesiale della Pentecoste (cfr. Atti 2,1ss), il compimento sperato alla fine dei tempi nella Gerusalemme messianica, alla quale converranno tutti i popoli e le nazioni e nella quale finalmente vi saranno solo luce e vita, comunione e pace in Dio (cfr. Apocalisse 22).
Sono la potenza di questa visione del Regno e la forza sovrabbondante del nutrimento di Cristo a guidare e a sostenere la nostra collaborazione quotidiana all’edificazione del regno di Dio: senza temere l’usura del tempo, né le asperità del deserto in cui sembra talora di dover camminare.
Anche qui ci soccorre un passo del commento di sant’Ambrogio, che accenna proprio a quarant’anni di cammino e invita a confidare nella potenza del regno di Dio, nella bellezza di quella terra che ci attende, nello strumento dialogante della mitezza. “Non è forse vero – chiosa il vescovo di Milano -  che fu in virtù del cibo che il santo Elia, quando già stava per venir meno lungo la strada, camminò per quaranta giorni: e quel cibo glielo diede l’angelo? Ma se è Gesù che ti nutrirà, e se tu conserverai il cibo da Lui ricevuto, camminerai non per quaranta giorni e quaranta notti, ma – ardisco dir questo, fondandomi su gli esempi della Scrittura –  per quarant’anni, uscendo dalla terra d’Egitto, finché non giungerai a una terra spaziosa, a una terra ove scorre miele e latte, che il Signore giurò di dare ai nostri padri”. Ed ecco il passaggio che più ci riguarda: “Devi cercare la potenza di questa terra, che i miti ricevono in eredità. Non intendo questa terra, ch’è arida, ma quella che è sostenuta dal nutrimento di Cristo, e, posta sotto l’autorità del Re eterno, è abitata dalla gran folla dei santi” (Esposizione del vangelo secondo Luca VI, 75).
Ambrogio ci richiama dunque alla santità. Cari amici della comunità di Sant’Egidio, non abbiate paura di levare gli occhi della mente e del cuore a questa meta così alta ed esigente. Comunicare il Vangelo, oggi come sempre, non è questione di marketing o di strategie, non è impresa umana legata più o meno alla nostra abilità o bravura. E’ questione di santità, di amore, di grazia di Dio. E’ un dono che si riceve e che diventa in noi sorgente viva e inesauribile per la speranza e per la gioia di quanti incontriamo, a partire dai più poveri. E’ il ripetersi straordinario della moltiplicazione del pane celeste, che diventa nutrimento, vita e gioia per la folla multietnica delle nostre città e dei nostri paesi. Come ancora ci insegna sant’Ambrogio: “Questo pane, che Gesù spezza – e in senso mistico è senz’altro il Verbo di Dio e il parlare di Cristo – mentre si divide, cresce. Ci ha dato le sue parole come pane, che mentre le assaggiamo, ci si moltiplicano in bocca” (Op. cit. VI, 86).
Questo vi auguro: di sperimentare nel cammino della vostra Comunità la sovrabbondanza del dono di Dio, perché presto – lo supplichiamo con fede e con gioia – presto per ogni popolo venga il suo Regno!

Il 40° anniversario della Comunità di Sant'Egidio


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