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6 Luglio 2009

Dibattito: "Milano: la città, il mondo", per una visione aperta al futuro, al dialogo, alla solidarietà . TESTI E IMMAGINI

 
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La Comunità di Sant'Egidio propone un dibattito per una visione della città aperta al futuro, al dialogo, alla solidarietà.

 
I problemi e le speranze di Milano sono sempre legati alla sua realtà di crocevia internazionale. Chiamata ad orizzonti universali anche in una stagione di crisi e di incertezza, la città si trova oggi tra identità tradizionale e sfide della globalizzazione.
In questo tempo, chi vive a Milano è interpellato dall'invito ad un futuro nella solidarietà di cui si è fatto portavoce l’Arcivescovo card. Dionigi Tettamanzi, dalle sfide della convivenza, dai progetti per lo sviluppo, come l’Expo.
 
 
Intervengono:

Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio
Eros Monti, Vicario episcopale della Diocesi di Milano
Alfonso Arbib, Rabbino capo di Milano
Virginio Colmegna, Presidente della Fondazione Casa della Carità
 
Coordina:

Milena Santerini
 
 
 
L'intervento di Marco Impagliazzo 
 
Milano: la città, il mondo
 
Il recente messaggio del cardinale Tettamanzi alla città di Milano e il libro che ne è scaturito dal titolo significativo, Non c’è futuro senza solidarietà, ha spinto la Comunità di Sant’Egidio a fare eco al suo messaggio. Le parole dell’arcivescovo sono incentrate sulla solidarietà. “La solidarietà – scrive - non risponde solo a bisogni puntuali, bensì costruisce una società più giusta, più equa. E’ via irrinunciabile per poter sperare ancora nel futuro”.
E’ un messaggio antico, del resto profondamente radicato nel cattolicesimo ambrosiano. Ma risuona anche nuovo in questo tempo di crisi economica e di caduta nella povertà di tanti. La Comunità di Sant’Egidio, vivendo accanto ai poveri di questa città, sente la necessità di riflettere su Milano di domani e sulle grandi città italiane. Infatti, nel mondo della globalizzazione, la città torna protagonista della vita e delle relazioni. E’ questa anche una sfida per Milano.
 Negli ultimi secoli, un’immagine di Milano è emersa tra le tante: la “capitale morale” che nei fatti “guida” il Paese grazie alla sua vivace società civile. Ha scritto Giorgio Rumi, fine conoscitore della storia milanese sul lungo periodo:
“Da oltre quindici secoli Milano ha abbandonato ogni velleità di dominio, ma le rimane una profonda vocazione a un primato non necessariamente politico-militare (non è infatti questa la sua vocazione), ma certamente civile e economico, che nei tempi lunghi della storia ha dimostrato di voler perseguire con ferma coerenza. Non lo ‘Stato’ è negli auspici dei milanesi , ma la ‘società’ vi trova il suo terreno di elezione”.
Milano non vuole dominare, ma esprime il legame di una società viva: legame al suo interno, legame con il mondo fuori da lei, legame operoso e costruttivo. Tra l’altro – come ha notato Agostino Giovagnoli – l’immagine della capitale morale è interessante anche per ciò che esclude: enfatizza la vitalità della società civile e quindi esclude una definizione etnica dell’identità milanese.
“E’ proprio il nesso etnia-città, che non ha mai avuto corso a Milano: da sempre la città assume e produce un tipo d’ uomo che viene detto milanese anche se è nato in Francia... o a Luino”, ha scritto uno dei tanti “milanesi d’ adozione.”
Infatti Milano ha un suo carattere chiaro, ma inclusivo, non chiuso. Basta a dimostrarlo la storia della città dal dopoguerra, quando ha assorbito tanta emigrazione dal Mezzogiorno, offrendo lavoro, opportunità, benessere, spazio agli immigrati e alle loro famiglie. Milano è stata la realtà e l’immagine della modernizzazione della nazione. La cifra di Milano è stata quella della modernità. E’ una bella storia italiana.
Ma è una storia finita? Si può dire che la crisi degli anni Novanta ha appannato l’immagine della capitale morale. Si può aggiungere che la città è oggi più preoccupata del suo futuro, meno certa del domani. E’ quindi un problema milanese? Forse, in parte. Ma la questione Milano non è che un capitolo, importante, della difficoltà con cui l’Italia guarda al proprio futuro. A che serve l’Italia? –si chiedeva Lucio Caracciolo su “Limes”. C’è una missione nazionale da definire e da collocare in un mondo aperto alla globalizzazione, nel quadro dell’Europa che stenta a unirsi, ma anche nel confronto con i giganti asiatici. Sono convinto che ciò che avviene a Milano non riguarda solo i milanesi, ma determina in parte significativa il futuro dell’Italia.
Nel tempo della globalizzazione, tutte le identità, locali, urbane, etniche, religiose, tendono a ridefinirsi, tracciando i loro confini. Milano deve attrezzarsi in modo nuovo, più rigoroso, di fronte alle emergenze del mondo globalizzato? Questo non avviene però nel vuoto, ma in un’Europa che stenta a trovare la sua missione, tesa a chiudersi, timorosa di un futuro che sente poco suo.
L’iniziativa del Cardinale spinge a riprendere un dibattito ideale, fuori da luoghi comuni retorici e nostalgie. Lo fa a partire da una consapevolezza: che la parola della Chiesa a Milano interessa. Scriveva Giorgio Rumi:
“La religione in terra lombarda è qualcosa che ‘interessa’ fin nel profondo, e quindi non vi è nulla di esterno, di imposto, di evasivo rispetto alla concretezza esistenziale.”
Certo le componenti religiose e laiche della città sono varie. Non si tratta di imporre una visione, ma di cogliere ciò che l’esperienza religiosa e sociale dice a Milano. Nella nostra esperienza quotidiana della città, come Comunità di Sant’Egidio a Milano, sentiamo come esistano tante risorse umane, morali, religiose, culturali. Come Sant’Egidio in Italia, in Europa, sentiamo che l’identità di Milano non è indifferente.
Mauro Magatti ha recentemente scritto:
“Mediolanum è terra di mezzo: un privilegio, nel senso che può essere l’insieme di tante cose e di tante risorse. Un difetto, quando corre il rischio di essere solo un luogo attraverso cui passano cose, persone, informazioni, affari. Un luogo di passaggio nel quale non rimane nulla. Al centro di tanti interessi economici, culturali, di tutta una serie di network internazionali, perennemente in transizione, senza un confine preciso neanche dal punto di vista geografico e istituzionale, Milano rischia di perdere la sua anima”.
La Comunità di Sant’Egidio vuole dare oggi voce a un discorso sulla città iniziato più di vent’anni fa a partire dalle sue periferie e dai luoghi del disagio, come i quartieri della Barona, Corvetto, Paolo Sarpi, gli istituti per gli anziani soli, i luoghi del centro dove vivono i senza fissa dimora. Negli anni trascorsi, Sant’Egidio ha molto lavorato sulle povertà di questa città, con il mondo dei marginali: in questo lavoro, fatto di incontri umani e di un tessuto di solidarietà (su cui parlerà poi Giorgio Del Zanna), pur essendo gente del terreno, è maturata in noi la convinzione che i problemi di Milano non si risolvono ripiegandosi, ma rilanciando la città. Ed oggi la città si misura con il mondo: questa è l’esigenza posta dall’Expo 2015. Perché le frontiere di Milano non sono quelle municipali, ma si allargano.
Del resto l’internazionalità è stato da tempo l’elemento essenziale nello sviluppo della società civile milanese. Milano ha capito prima e più delle altre città italiane che “il sequestrarsi dal mondo civile nuoce, il gridare contro gli stranieri senza conoscerli non giova”: l’innovazione economica si è sempre avvalsa di tecnici europei e fin dalla Scapigliatura la cultura letteraria ha guardato ai capolavori d’oltralpe, mantenendo contatti internazionali anche quando imperversava l’autarchia fascista. Milano, insomma, ha sempre guardato al mondo. Ma è vero anche il contrario: il mondo ha spesso guardato a Milano.
Dalla milanese “tradizione della modernità” sono venute lezioni internazionalmente rilevanti, a cominciare da quella di Cesare Beccaria contro la pena di morte, ancora oggi drammaticamente attuale davanti al permanere delle barbarie anche in contesti all’apparenza molto moderni. Lo dico, perché la Comunità è impegnata per l’abolizione della pena di morte nel mondo anche attraverso l’iniziativa “Città per la vita”,che si svolge ogni 30 novembre in ricordo dell’abolizione della pena capitale nel granducato di Toscana. Milano è partecipe dell’iniziativa illuminando, in quel giorno, la statua del Beccaria.
Alcuni dati sull’internazionalità della città:
a Milano hanno sede oltre 2.900 imprese a partecipazione estera, pari al 42% di quelle presenti in Italia, e migliaia di piccole e medie imprese, oltre che le grandi imprese nazionali. Nell’insieme, un sistema plurisettoriale, multidimensionale, internazionale, integrato; un sistema che rappresenta il cuore pulsante dell'economia italiana e uno dei principali nodi di quella europea (la regione Lombardia è uno dei quattro motori d’Europa).
Inoltre, Milano ospita le sedi di 91 consolati, 16 uffici commerciali di governi stranieri, 34 uffici o enti nazionali turistici di governi stranieri, 17 Camere di Commercio bilaterali. Questi dati pongono Milano come prima città in Europa, tra le non capitali, a maggiore presenza consolare e dimostrano il suo prestigio internazionale.
Perché abbiamo voluto questo incontro, Milano: la città, il mondo? Perché una Comunità, come la nostra, radicata nel mondo dei poveri, si interessa a questa dimensione?
Abbiamo la sensazione che Milano corra il rischio di chiudersi. E’ un rischio che vediamo anche in altre grandi città italiane. Chiudersi al suo interno, logorando il legame sociale: questo è un grave problema per i più poveri e per questo tempo di crisi economica. Chiudersi al suo esterno: separando il destino dei milanesi da quello degli altri. Che dire di fronte all’11% dei residenti che sono stranieri?
Di fronte a questo cambiamento, non basta la nostalgia della provincia di ieri. Serve un’idea della città, una grande politica come può essere quella rappresentata dall’Expo 2015. Serve rafforzare i legami, quindi la solidarietà, come afferma il card. Tettamanzi.
Questo nostro dibattito vuole esprimere fiducia in questa città e nei suoi cittadini, in un momento di crisi generale del mondo e alla vigilia delle importanti scadenze citate. La fiducia ci spinge a riflettere su come indirizzare i nostri sforzi sugli scenari evolutivi della città. Tali scenari nel prossimo futuro non possono non tenere conto del rischio del nostro paese o dell’insieme dei paesi europei: lo scivolamento verso una qualche marginalità nel quadro internazionale, come piccoli paesi a confronto con problemi sempre più grandi e con paesi ben più grandi, non fosse che per demografia. Qui c’è il problema di individuare la funzione di Milano, un’ idea per la città.
Qui la prima nostra convinzione. Milano non deve perdere l’ambizione di essere un soggetto universale. Sant’Egidio, amica dei poveri e dei marginali, è alla finestra del mondo da più di quarant’anni: il mondo della pace e della guerra, del dialogo tra religioni e culture, dello scambio culturale. Sant’Egidio, a partire dalle periferie, sa che Milano è una città che guarda al mondo, da cui si può parlare al mondo, da cui si può interagire con il mondo.
La Comunità di sant’Egidio vi ha svolto due dei suoi incontri di preghiera per la pace con le grandi religioni mondiali, nel 1993, dal titolo Terra degli uomini, invocazioni a Dio; e nel 2004, dal titolo Religioni e culture il coraggio di un nuovo umanesimo. Sono stati eventi di dialogo interreligioso e interculturale che hanno trovato a Milano un terreno fertile.
Le religioni, tanto presenti in questa città, parlano a Milano del mondo e al mondo di Milano. Che ha voluto dire la religione a Milano? Religione a Milano vuol dire inclusione, solidarietà, formazione, oratorio (è una grande tradizione sociale), ma anche pluralismo religioso, sempre presente a Milano con un’antichissima e attiva comunità ebraica e oggi con comunità musulmane e delle religioni asiatiche frutto delle nuove immigrazioni. La Comunità ebraica è custode della memoria del più grande dolore di Milano nel Novecento, quello della deportazione degli ebrei: con essa Sant’Egidio ricorda ogni anno la Shoah, raccogliendosi presso il binario 21 della Stazione centrale.
La presenza delle religioni è un fenomeno destinato ad accentuarsi con le comunità immigrate.
Il profilo religioso di Milano è parte consistente della funzione internazionale della città: vuol dire cultura, legami con altri paesi, mobilità, sentire Milano come la propria patria da parte di non milanesi e anche di non residenti. Il numero delle chiese evangeliche, ortodosse, orientali, e penso all’antica presenza armena, a Milano è notevole. Certo la città ha una forte e storica identità cattolica, ma nel contempo parla di dialogo, di libertà religiosa... Ma anche confronto tra religione e laicità o pensiero laico e democrazia e penso alle recenti iniziative del giornale storico della città, Corriere della Sera.
Questo è un valore in un mondo dove i conflitti di religione e di cultura sono all’ordine del giorno. La città dell’operosità economica è anche quella del dialogo come agorà internazionale. Il card. Martini ha insistito durante il suo episcopato ambrosiano sull’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Così ha fatto anche il card. Tettamanzi. Per costruire la città di domani non ci si deve chiudere nella paura dell’altra. Il dialogo tra le religioni e le culture –è la nostra proposta di oggi- è vitale per una città che non si frammenta al suo interno e che si lega al mondo.
C’è poi un aspetto, direi geografico, su cui mi vorrei soffermare rapidamente parlando di Milano e del suo genio della solidarietà: riguarda la sua congiunzione con il Sud e in particolare l’Africa, quell’Africa che ha sostenuto con forza la candidatura di Milano all’Expo con il voto di tanti paesi.
Milano, anche in vista dell’Expo che ha per tema l’ecologia, la buona alimentazione, il vivere bene, la qualità della vita, può dire cosa significa l’Africa per l’Europa. L’orientamento prevalente nazionale e europeo è il ritiro dalla cooperazione. E’ un fatto su cui riflettere, rispetto agli impegni assunti e al recente richiamo di Benedetto XVI al G8.
D’altra parte sembra che ci si debba difendere dall’Africa e dalle sue migrazioni. Tale difesa sarà impossibile, in assenza di una politica positiva in quel continente. Non saranno le misure di polizia, ma una vera cooperazione con l’Africa (capace di aprire nuove opportunità per i giovani) a dare risposte all’emigrazione.
Bisogna creare un rapporto diverso con l’Africa. Un nuovo sentimento e un nuovo pensiero eurafricano (Eurafrica è un’espressione coniata dal presidente-poeta del Senegal, Senghor) possono trovare in Milano la congiunzione tra il Nord ed il Sud. E’ una delle chance che ci offre l’Expo. Recentemente anche in Italia, dopo le iniziative di Cina e Stati Uniti, si è capito che questo continente può essere lo spazio di grandi opportunità economiche, da punto di vista non soltanto energetico e delle materie prime, ma anche di cultura di impresa, in particolare di quella piccola e media. Uno scenario euroafricano –quello su cui insistiamo- è denso di opportunità: in Africa ci sarebbe bisogno del fare e del fare impresa di Milano. Per questo insisto su una visione euroafricana.
Parlando dell’Africa, non si può tralasciare il tema delle migrazioni. Milano ha alle spalle una storia di inclusione, che si riflette in un tessuto dell’assistenza, delle opere, di istituzioni caritative che segnano il lungo periodo tuttavia oggi si assiste ad una fatica a continuare questa capacità inclusiva che è parte della sua identità. Milano ha accolto nella sua storia grandi flussi migratori, soprattutto interni, dando a tutti le opportunità per realizzarsi (una curiosità: 100 anni fa si è iscritto all'anagrafe il primo cinese di Milano). La paura è il peggior consigliere. La predicazione della paura dell’altro induce al disprezzo con una catena di conseguenze non controllabili.
Vivere insieme non sempre è semplice. Ma dobbiamo lavorare per realizzare nei quartieri, in quelli più difficili, nei palazzi, una vera integrazione, il gusto quotidiano di stare insieme. Insomma non basta lanciare allarmi, ma bisogna stare tra la gente e per strada, aiutare le famiglie, curare la scuola come luogo di incontro e integrazione, sviluppare la solidarietà.
E’ tale modello che bisogna difendere e incrementare, anche se va controcorrente rispetto alle grandi città del mondo, sempre più divise e insicure. Ma la città è specchio della civiltà europea. Basta fare il paragone con le grandi città del mondo extraeuropeo, dove si vive nei compound, dove il mondo del poveri è separato da quello dei ricchi (da Johannesburg a São Paulo). Da noi la piazza, dove tutti convergono, ha un suo significato, pensiamo soltanto al valore di Piazza Duomo e della altre storiche piazze milanesi. Piazza vuol dire a sicurezza e serenità di vita, che fanno il clima di Milano. Eppure, nel perseguire tale sicurezza, bisogna tener presente che ogni comunità deve avere, per restare tale, un qualche livello di tolleranza verso chi non condivide il suo modello di vita. L’adattabilità fa parte di quella flessibilità di una città che vuole rimanere unita sulla piazza nelle diversità. Civiltà europea è città-comunità sono intimamente legate. La città diviene l’espressione forte di una civiltà. Andrea Riccardi ha parlato di una società del convivere, come futuro possibile per le nostre città in tempo di globalizzazione.
Milano non è una provincia chiusa. E’ stata, per prima, la città più europea dell’Italia. A Milano si gioca una parte consistente del futuro italiano e anche europeo. E’ ottimistico parlare di una rinascita di Milano? Credo che, nei prossimi anni, dobbiamo trovare le parole, le idee e la cultura, per esprimere quella rinascita che i milanesi, passati attraverso molte difficoltà e abituati a convivere con esse, sentono di vivere, ma dicono poco.
Un autore pagano del V secolo, Rutilio Namaziano, scriveva: “Ordo renascendi est crescere posse malis” (il cuore del rinnovamento è la capacità di crescere attraverso i mali).
Certo niente è sicuro e scontato in una città moderna. Ma a Milano, tanta gente lotta, specie nelle periferie, per dare un’anima alla convivenza urbana, per ritrovare il senso del vivere e dell’essere con gli altri.
Le parole del Cardinale, l’opera del cattolicesimo ambrosiano, l’impegno di tante realtà religiose e non, manifestano il bisogno di una Milano aperta al futuro, su cui non è facile far retorica, ma in cui bisogna riconoscere un grande impegno ad uscire dai parametri di città provinciale e senz’anima. La globalizzazione chiama Milano a una dimensione più larga di sé, non fosse perché la invita all’ospitalità. Le città oggi attraggono tanta gente, da ogni parte. Il profilo milanese di città operosa si compenetra con quello di una città democratica e pluralista, dove l’identità cristiana è una delle principali radici dell’idea di città e della convivenza urbana.
In un mondo che ha perso tanti riferimenti e si è scomposto con la globalizzazione, Milano è un riferimento, soprattutto se si sa collocare a livello internazionale. Non ha ambizioni egemoniche, ma dice che non si può vivere per sé, chiusi nei propri confini e attenti solo ai propri interessi materiali.
Mancano sei anni all’Expo, ci sono tanti cantieri aperti e altri andranno inaugurati. Forse c’è un cantiere più importante, la coscienza dei milanesi che, per un lungo periodo, si troveranno coinvolti in una agoràmondiale unica con le sue grandi risorse e con i suoi disagi. Milano può compiere una grande crescita nella coscienza, nei comportamenti, nella qualità della vita.
 Federico Chabod parlava di Milano come “clef d’Italie”. Sì, Milano “chiave” del nostro Paese. Che significa oggi? Significa che Milano ha dire qualcosa all’Italia.
In conclusione, di fronte alla tendenza al provincialismo italiano, Milano emerge come città internazionale che deve stimolare il nostro Paese a credere nel futuro e ad aiutarlo in un’estroversione internazionale. La Comunità di Sant’Egidio, realtà milanese ma anche radicata in Italia e in tante parti del mondo, sente questa occasione per la città, per sé, per un mondo più solidale.
 

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