Parlano i numeri, e «sono numeri da campionati del mondo», come commenta, illustrando i risultati del "Project Malawi", Corrado Passera di Intesa Sanpaolo. Eccoli: 9 centri di cura specializzati, circa 14mila pazienti in assistenza, oltre 15mila la sieropositivi curati con terapia antivirale (di questi 1.500 sono minori), 3.300 bambini nati sani da madre infette da Hiv, oltre 300mila visite mediche e 150mila prelievi, formazione di circa 700 operatori sociosanitari. A buon motivo, poi, Leonardo Palombi, direttore scientifico del programma Dream della Comunità di Sant'Egidio, può dire: «Questi numeri ci danno la suggestione che c'è una luce in fondo al tunnel». Il tunnel è l'Aids che è la causa prima di morte nel Malawi.
Il progetto Dream è oggi un modello diffuso in dieci Paesi dell'Africa subsahariana. È un progetto integrato perché, accanto alla lotta all'Aids, mira all'educazione sanitaria, alla prevenzione, all'assistenza degli orfani e allo sviluppo locale con interventi di microfinanza. Il "Project Malawi", promosso da Intesa San Paolo e dalla Fondazione Cariplo, si avvale, per la lotta all'Aids in questo Paese tra i più poveri dell'Africa, proprio di quella che fu l'intuizione di Dream: creare una barriera alla malattia partendo dalla prevenzione della trasmissione del virus da madre a figlio. A questo sforzo per il Malawi collaborano anche le associazioni scout del Paese, Save the Children e il Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli. È un grande impegno per il quale Intesa San Paolo e Fondazione Cariplo hanno già assicurato 18 milioni di euro, cui si sono aggiunti altri due milioni da attività di fund raising (di cui circa 800mila euro raccolti tra i dipendenti di Intesa San Paolo). «Il Progetto - dice Passera - quando è partito sembrava impossibile, invece i risultati dimostrano che era valido. Siamo riusciti a creare una barriera nella trasmissione dell'Aids da madre a figlio. Questo vuol dire salvare una generazione. Sono nati già 3.300 bambini sani da madri malate. Questo è un grande risultato. Presto - aggiunge - si aprirà un altro triennio nel progetto, ed è nostra intenzione continuare a lungo in questo impegno». Un impegno, poi preciserà, che non si limite semplicemente a staccare un assegno. Il progetto Dream, nella Comunità di Trastevere lo definiscono «movimento» perché, ad esempio, i pazienti disponibili diventano a loro volta attivisti, cioè operatori che testimoniano la speranza a tanti altri malati, recuperando in questo modo una dignità sociale ed economica.
«Il movimento - spiega Mario Marazziti, portavoce della Comunità - diviene un fondamentale percorso di reinserimento nella vita: dall'esclusione e dallo stigma si torna ad uscire di casa, a lavorare, si trova il riscatto nell'aiutare gli altri. La donna, in particolare, da principale vittima dell'Aids, diviene protagonista della liberazione dalla malattia: il lavoro delle attiviste rappresenta l'utilizzo di una risorsa umana che si traduce in ricchezza per il Paese». Il programma Dream nell'arco di dieci anni è risultato il protocollo più efficace nel ridurre la trasmissione dal virus da madre a figlio e ha consentito un calo dell'80 per cento nella mortalità materna rispetto alle madri non in terapia nel Paese.