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Il 40° anniversario a Trieste


 
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29 marzo 2008
Liturgia Eucaristica
Ttrieste (Italia)

Omelia di Mons. Eugenio Ravignani


Miei cari fratelli e sorelle,
cari amici della Comunità di Sant’Egidio,

viviamo ancora la gioia della Pasqua. Il Signore è davvero risorto. E noi siamo risorti con Lui. A voi tutti l'augurio affettuoso che possiate sempre esprimere nella vita il mistero d'amore che abbiamo celebrato nella fede.

Rendete grazie a Dio Padre per mezzo del Signore Gesù” (CFR COL 3, 17):

Ogni Eucaristia che celebriamo è azione di grazie al Padre per il Figlio Suo, il Cristo Signore, che ci ha donato e nella cui morte e risurrezione noi abbiamo avuto vita.

Questa Eucaristia, che ci riunisce nello spezzare il pane e nell’accostarci all’unico calice, è azione di grazie anche per quel dono che nello Spirito ha fatto nascere nel 1968 la vostra Comunità di Sant’Egidio. Una comunità che nell’ascolto della parola e nell’intensità della preghiera, quasi come in una novella Pentecoste, attinge la forza e il coraggio di annunciare il vangelo “ad ogni creatura”, senza conoscere frontiere e abbattendo muri di separazione (CFR EF 2, 14) e con i poveri divide amicizia e solidarietà mentre nel mondo si fa mediatrice di pace.

Per questo oggi insieme rendiamo grazie a Dio, Ma farlo consapevolmente significa per voi confermare la vostra fedeltà ad un carisma che è alle vostre origini e che va vissuto in responsabile libertà. La liturgia fa obbligo a chi la presiede di aprire ai suoi fratelli il senso delle Scritture sante (CFR LC 24, 45; 24, 27.32) ed io lo farò, con qualche cenno appena alla vostra particolare vocazione e missione nella Chiesa.

Testimoni del Risorto.

Il brano del vangelo di Giovanni, a noi proposto in questa domenica, ci presenta l'apostolo Tommaso, che non aveva voluto credere alla parola degli altri apostoli e di Pietro e ci riporta l'affermazione del Signore Gesù : “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20, 29). Ed è ancora Giovanni, l'apostolo che Gesù amava, a dirci nella sua prima lettera, che la vittoria che vince il mondo è la nostra fede (cfr 1Gv 5, 4). E nella fede, che dà testimonianza della risurrezione del Signore Gesù, la comunità dei credenti trova la forza dell'amore che la unisce in un solo corpo e in un solo spirito.

La sera del primo giorno dopo il sabato Tommaso, detto Didimo, non c'era. Glielo dissero subito, con voce commossa, ancora emozionati da quanto avevano vissuto. “Abbiamo visto il Signore” (Gv 20, 25). Non volle credere. Disse che avrebbe creduto soltanto quando avrebbe messo la sua mano nel suo costato e il suo dito al posto dei chiodi” (Gv 20, 25). Non avrebbero dovuto stupirsi i discepoli : non avevano anch'essi dubitato ? non s'erano rifiutati di credere alle parole delle donne ? Non credettero anch'essi solo quando lo videro, quando poterono constatare che non di un fantasma, ma del loro maestro, crocifisso e risorto, si trattava ? Tommaso credette quando lo vide : Lo confessò suo Signore e suo Dio. Anche se ciò avvenne soltanto otto giorni dopo.

Noi crediamo che Gesù di Nazaret è morto e risorto. E crediamo per la testimonianza degli apostoli che continua ininterrotta nella Chiesa. Crediamo sulla loro parola, che è vera (CFR GV 21, 24). Il Signore ci ha fatto dono di questa fede che illumina la nostra vita e ci sostiene nel nostro cammino, talvolta difficile, verso il Regno di Dio.

Ma crediamo agli apostoli perché la loro fede in Cristo Gesù ha cambiato la loro vita. Hanno ritrovato il coraggio di dirsi discepoli suoi, di predicare a tutti la sua risurrezione, di sacrificare anche la loro vita nel martirio pur di non tradire la verità. Come si potrebbe non credere a chi per l'annuncio che porta accetta anche di morire ?

E’ stato così anche per voi? E lo è per quanti vi incontra la vostra esperienza ecclesiale? Comunicare il vangelo non passa attraverso la testimonianza di una vita sempre nuova e vissuta nella gioia del dono di sé?

Dalla testimonianza apostolica alla comunità cristiana.

Dalla predicazione degli apostoli accolta nella fede nascono le prime comunità cristiane. Ed esse debbono diventare testimoni della risurrezione di Cristo mostrando che cosa sia cambiato nella loro vita e come i credenti siano diversi da coloro che non hanno la fede. “L’immagine più autentica è la comunità in preghiera, quando è riunita per ascoltare la parola di Dio:è come la famiglia dei discepoli raccolta attorno a Gesù” . Voi dite così della vostra comunità E a questo incontro di preghiera rimanete fedeli.

Ma vi è qualcosa di più, ed è la carità che vi unisce in una profonda comunione di vita.

La prima lettera dell'apostolo Pietro ci dice che per i cristiani la fede diventa amore. (CFR 1 PT. 1, 8.22). Amano Dio come un padre e amano gli altri come fratelli. Credono che Gesù sia salvezza per tutti; che tutti egli abbia resi figli di Dio nel sangue della sua croce; che tutti quanti hanno creduto in lui e sono stati battezzati sono rinati con lui alla vita nuova nell'amore. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). Non è un amore che si possa rivivere all’interno di una comunità. Il vostro amore deve aprirsi e di fatto si apre ad una dimensione universale perché questa è la dimensione dell’amore con cui Cristo ha amato. Ed è grazia che voi viviate questa dimensione dell’amore nell’incontro fraterno e nel dialogo permanente con i fratelli delle Chiese cristiane e delle altre Religioni.

Una pagina del libro degli Atti degli apostoli ci dice fin dove giunge questo amore fraterno. “Coloro che erano venuti alla fede avevano un cuor solo ed un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era loro comune” (AT 4, 32; 2,44). Sono tra loro uniti dalla fede che professano e dall'amore che da essa nasce. Si amano davvero, come fossero un cuore solo. E condividono quello che hanno perché a nessuno manchi ciò che è necessario alla sua vita decorosa e serena.

Può sorprendere la vostra scelta dei poveri, dei vecchi e dei nuovi poveri, di coloro che hanno bisogno di tutto e di coloro che attendono gesti di umanità. Può sorprendere davvero anche oggi chi non avesse il dono della fede incontrare la vostra comunità dove tutti si amano sinceramente e dove ciascuno pensa alle necessità dell'altro, superando ogni egoismo e dimenticando se stesso. Può sorprendere. Ma è il segno che rende credibile il vangelo che andate a portare.

E può sorprendere ancora che le vostre iniziative di mediazione portino alla pace popoli che non cessano di combattersi e di accrescere la desolazione e la morte. Sorprende, certo, e soprattutto perché è alla forza debole della preghiera e alla potenza della persuasione che voi date fiducia nel vostro operare per la pace.
Miei fratelli e sorelle, nel racconto del libro degli Atti si dice che “con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande stima” (AT 4, 33). So che anche per voi è così e larga è la stima che godete. Perché anche per voi l'annuncio degli apostoli conta su un segno chiaro e forte : la fede che si fa amore.

E' è ancora questo oggi il segno che rende credibile la nostra fede nel Signore risorto: che ci amiamo davvero gli uni gli altri e ci facciamo solidali tra noi e con ogni uomo che soffre nella malattia, nella povertà, nel bisogno. “Da questo tutti sapranno che siamo i discepoli” (GV 13, 35) di Cristo, se, come lui, sapremo dare la nostra vita per i fratelli (1GV 3, 16).

Prego perché così viva la vostra comunità.

Il 40° anniversario della Comunità di Sant'Egidio


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