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28 Novembre 2010

COSA VUOLE DIRE ESSERE CRISTIANI IN PAKISTAN, OGGI

Liberi e fieri, con carità. LA PAURA NON LI PIEGA

 
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Asia Bibi, condannata a morte per bla sfemia, è una persona due volte svan taggiata: perché cristiana e donna. Per la prima volta, in Pakistan, una donna verrebbe impiccata per blasfemia. Prima di lei, però, tanti cristiani (e anche musulmani) sono stati colpiti pretestuosamente in base a una legge incredibile. Spesso le cristiane povere sono costrette a matrimoni forzati, conversioni all'islam, mentre subiscono stupri e rapimenti. Queste violenze avvengono in ambienti marginali, dove lo Stato non arriva o non intende farlo. La povertà non consente di difendersi. La vita dei cristiani è difficile in Pakistan. Sono il 2 per cento scarso di 171 milioni di abitanti, in un Paese complesso e turbolento, che rappresenta la grande incognita geopolitica della regione.
La storia pakistana comincia nel 1947 con la separazione dall'India. Ali Jinnah, fondatore del Paese, Io volle come patria dei musulmani dell'Impero britannico dell'India, promettendo libertà religiosa. L'islam resta il punto di coagulo di quella che è, per tanti aspetti, una costruzione artificiale, in preda a conflitti etnici e tra musulmani. La politica usa l'islam. Forte è il richiamo dell'islamismo radicale.
I cattolici sono pochi (meno dell'i per cento delta popolazione), marginalizzati, ma anche convinti di avere una missione da svolgere. Lo dico anche per conoscenza personale, perché in Pakistan vive la Comunità di Sant'Egidio. Incontrando questi cattolici, ho visto sempre donne e uomini sereni, non vittimisti, forti anche se consapevoli delle difficoltà. Mi pare che Ii caratterizzi la volontà di non essere rinchiusi nel ghetto della paura e della discriminazione. Anzi manifestano la volontà di aiutare i concittadini. Prendono costantemente l'iniziativa della carità, che esprime un legame sentito con gli altri (musulmani), in una società che, pure, non li accoglie. Lo si è visto nella recente terribile alluvione che ha devastato il Paese.
Perché li colpiscono? Certo non perché offendono l'islam, ma perché la loro presenza credente, umana e buona rappresenta di per sé una sfida a una società che si ripiega su forme di totalitarismo religioso. Il nome cristiano diventa allora una "bestemmia" o uno scandalo per chi ha paura della libertà dell'amore. Colpirli dà sfogo a quell'odio che percorre la società pakistana e follemente fa sentire "buoni" musulmani. I dolori dei cristiani pakistani rivelano come la vita cristiana sia invece memoria di umanità, quando le società si disumanizzano.
Dobbiamo saperlo e ricordarlo. Forse, noi cristiani italiani siamo troppo chiusi nel nostro territorio e tra i nostri problemi; troppo vittimisti per le nostre difficoltà o per la crisi economica. Asia Bibi e i cristiani pakistani chiedono memoria e solidarietà. Sentire il loro dolore ci aiuta a vivere guardando lontano. Sono anch'essi nostri fratelli.


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