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Ajuda la Comunitat

  
17 Setembre 2010

Pakistan - «Islamici grati del nostro aiuto»

 
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La stanchezza del viaggio è passata, ma gli resta la sofferenza per quello che visto: campi allagati, mobili marciti, muri sventrati, distese di tende a perdita d'occhio. Don Paolo Cristiano è appena tornato dal Pakistan. È un giovane sacerdote della Comunità di Sant'Egidio: a Nowshera ha guidato la missione, partita da Trastevere, per coordinare gli aiuti agli alluvionati. Specialmente i soccorsi che nelle zone colpite sono portate dai membri della Sant'Egidio pakistana. Cibo, medicinali, indumenti sono arrivati dall'Italia con un ponte aereo. Altri prodotti è stato più conveniente comprarli sul posto. «Distribuendo il riso — dice il giovane sacerdote — abbiamo raccolto le loro storie di dolore e la loro disperata richiesta di aiuto».

Prova a descrivere quello che ha visto, e spiega che un conto è vederlo in televisione e un conto è averlo sotto gli occhi. «Dal cielo, scendendo con l'aereo — ricorda — è un mare di tende che sembrano galleggiare nell'acqua. Svanisce anche la bellezza dei luoghi: il punto in cui, ad esempio, il fiume Indo con le sue acque turchine si congiunge con il Kabul». Da Nowshera, nella zona di Peshawar, la missione ha raggiunto poi Muzaffargarh, più a Sud. «Abbiamo portato generi di prima necessità— continua il giovane sacerdote — anche cucchiai e bicchieri, perché la gente era costretta a mangiare con le mani, e zanzariere per proteggere, specie i bambini, dal rischio malaria. Ma soprattutto abbiamo portato segni di solidarietà». E racconta i contatti con gli uomini fieri di etnia pashtun: «Fa un certo effetto vederli piangere in pubblico». I cristiani nel Paese sono soltanto il 2 per cento della popolazione, poco meno di 3 milioni. «Li ha colpiti il fatto che persone di religione diversa si siano prodigate per aiutarli in questa loro sofferenza. Quando hanno visto sacerdoti cattolici o cristiani dividere le loro difficoltà si sono commossi e poi hanno ringraziato con una preghiera Allah». Per don Paolo è un buon segno: «La minoranza cristiana, come sappiamo, vive in una grande sofferenza che spesso sfocia in violenza nei loro confronti. Questa vicinanza, dettata dall'emergenza, può darsi che possa servire al processo di pacificazione del Paese». Si calcola che ci siano 20 milioni di senzatetto, cifra in ogni caso difficile da stabilire per la mancanza nel Paese di un anagrafe funzionate: «Un numero comunque altissimo, — dice don Paolo — eppure non sembra ci sia stata una grande mobilitazione internazionale. Noi abbiamo visto una certa stanchezza nella solidarietà. Non solo è stata trascurata l'emergenza, ma ancora tutte queste persone non hanno avuto una risposta su quello che sarà il loro futuro». E tutti vorrebbero ricominciare, dal più grande ai piccoli, che fuggendo dall'acqua hanno messo in salvo la cartella con i quaderni per ritornare a scuola, senza sapere però quando e dove. «Abbandonare il governo del Paese a se stesso, qualunque esso sia — spiega il sacerdote — è come abbandonare a sé stessi tutti questi bambini, e i giovani che in Pakistan sono tantissimi, perché è un Paese giovane. Giovane, ma al momento senza futuro, e questa adesso rappresenta la sua più grande povertà».

La Comunità di Sant'Egidio è presente nel Paese da dieci anni, ed è formata da circa 200 persone. Si sono impegnate nei soccorsi, adottando diverse tendopoli. «Siamo ancora nelle fase dell'emergenza e occorrono soprattutto viveri e medicinali, ma quando tutto sarà finito — annuncia il sacerdote — e quando il Kabul non farà più paura, vogliamo costruire un villaggio per lasciare un segno della carità cristiana e della nostra comunità».


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